11 aprile 2013

Renzi non è un grande elettore: la strategia suicida del PD (toscano)

di Francesco Pignotti

Renzi non sarà uno dei tre grandi elettori che la Toscana invierà a Roma il prossimo 18 Aprile per l'elezione del Presidente della Repubblica.
Il Parlamento in seduta comune viene infatti integrato, per l'occasione, da tre rappresentanti per ciascuna regione (tranne che nel caso della Val d'Aosta che ne invia uno solo), eletti dai consigli regionali.
Sembrava che Renzi dovesse essere uno dei tre
 delegati spettanti alla regione toscana.
Ma così non sarà. Questo è il fatto. Sulle possibili letture della vicenda, beh, credo che, al netto delle inevitabili polemiche, quella più giusta da dare sia quella che interpreta la decisione del PD (toscano) come una scelta suicida. O quantomeno masochista.
Conosciamo tutti il momento politico che sta attraversando il Partito Democratico, reduce da una non vittoria alle elezioni e agitato al suo interno - e non solo - da fortissime spinte al cambiamento.
Renzi, outsider o insider che lo si voglia considerare, rappresenta la sintesi suprema di questa sfida all'organizzazione del partito. Ed il partito, quella organizzazione, risponde così. Scegliendo di non mandare Renzi a Roma per l'elezione del nuovo capo dello stato.
Proviamo solamente a chiederci quanto Renzi ci avrebbe guadagnato ad essere uno dei grandi elettori toscani e quanto invece ci guadagna a non esserlo; e parallelamente proviamo a domandarci quanto ci avrebbe perso il PD a lasciar andare Renzi a Roma e quanto invece ci perde a non farlo.
Se si ha presente il dibattito interno ed intorno al PD perlomeno dalla vicenda primarie in poi, credo che queste quattro risposte vengano da sè.
Renzi, se scelto come grande elettore del Presidente, avrebbe ottenuto un riconoscimento simbolico importante, ma certo la sua presenza a Roma non avrebbe spostato di una virgola l'esito dell'elezione del Presidente, è ovvio. Allo stesso tempo il PD avrebbe riconosciuto definitivamente Renzi, a livello simbolico, come una figura fondamentale per gli equilibri del PD e dal peso politico indiscutibile. Non avrebbe certo avuto niente da temere in termini di esito delle votazioni, o comunque niente di più di quello che non debba temere con Renzi a Firenze e i suoi in parlamento ad eleggere il Presidente.
Viceversa, con quello che è successo, Renzi ottiene un'ulteriore, significativa, vittoria agli occhi dell'opinione pubblica, accreditandosi una volta di più come vittima dell'apparato di partito che pur di tenerlo fuori dai giochi gli ha preferito quel Monaci che riassume in sé le caratteristiche del vecchio politico di professione, influente negli equilibri di potere locali, uomo del partito, attaccato più che altro alla poltrona e, non da ultimo, fratello di quell'Alfredo Monaci che ha più di qualche responsabilità nella gestione del MPS.
È facile capire come, in un gioco a somma zero, questo guadagno simbolico di Renzi equivalga alla perdita, simbolica fino ad un certo punto, del Partito Democratico.
Agli occhi della gente a Renzi è stato preferito un potente esponente politico del partito, e per di più appartenente al mondo senese del MPS. Un'ottima strategia insomma!
Io non posso sapere se la telefonata insinuata da Renzi ci sia stata o meno. Personalmente non credo. Penso piuttosto ad equilibri e giochi politici locali che assumono però in questa vicenda un rilievo nazionale.
Se però Bersani non ha fatto quella telefonata, ne avrebbe certamente dovuta fare un'altra; una telefonata in cui imponeva ai consiglieri PD della Regione Toscana di lasciare andare Renzi. 
Per il bene del PD.