25 febbraio 2013

Elezioni 2013: vincitori e sconfitti (per ora)

di Alessandro Bezzi e Francesco Pignotti

Vi propongo un “pezzo a caldo” scritto da Alessandro Bezzi. Lo pubblico integralmente, così come ricevuto dall’autore, e mi permetto solo un brevissimo commento finale.

"Un classico delle elezioni italiane è che, solitamente, tutti si dichiarano vincitori; tanto più con una legge elettorale che assegna premi regionali e favorisce di fatto l’ingovernabilità. Nonostante questo, i risultati di questa tornata elettorale sono così lampanti da rendere evidenti vincitori e sconfitti della competizione.


I vincitori

1. Il Movimento 5 Stelle: quasi primo partito a livello nazionale. Per molti, un voto di protesta più che di proposta; ma se ha ottenuto un tale consenso, è anche colpa della debolezza altrui. Oltre alla grandissima abilità di Grillo nel comunicare al web e alle piazze: restano dubbi sul carattere “post-ideologico” del movimento, su un linguaggio a volte troppo populista e su una disciplina di partito da molti contestata. Il vero banco di prova dei 5 Stelle sarà, evidentemente, la compattezza in Parlamento. Eventuali transfughi verso altre liste, al Senato più che alla Camera, minerebbero drasticamente la credibilità del partito.

2. Berlusconi: pochi mesi fa era dato per morto. Anche i suoi più accaniti sostenitori ritenevano impossibile una performance decente; il massimo che poteva fare, secondo molti, era smorzare la vittoria del Pd al Senato favorendo di fatto un governo Bersani - Monti. Invece ha superato ogni aspettativa: mentre tutti guardavamo i dati sui social media, Berlusconi ci ha dimostrato che la televisione è ancora il mezzo principale per vincere le elezioni in Italia. E, in un Paese demograficamente “vecchio”, ha fatto vedere di essere ancora un maestro della comunicazione: dopo la serata da Santoro, perfino i più scettici avevano capito che sarebbe tornato pericoloso. Le mosse successive – in primis la lettera per il rimborso IMU – si sono rivelate tanto vincenti quanto indegne di una democrazia moderna.

3. Renzi: Probabilmente il declino del Pd è iniziato quando ha scelto di continuare con Bersani. Le primarie non servono a scegliere il candidato più conforme agli umori del partito, ma quello migliore per vincere le politiche. Berlusconi l’aveva capito prima di tutti, e il suo “endorsment” per Renzi ha avuto l’effetto desiderato: contribuire alla vittoria di Bersani, contro il quale ha avuto vita facilissima.
Con Renzi, Berlusconi non sarebbe neanche sceso in campo: ma la politica non si fa coi “se”…


Gli sconfitti

4. I veggenti: Menzione speciale per il sottoscritto, e per tutti quelli che non immaginavano questo risultato. Troppo attenti ai social, tardivi nel percepire la risalita di Berlusconi, incapaci di fiutare i veri umori del Paese: ci consoliamo sapendo di essere meno incapaci di un esperto di comunicazione del Pd.

3. Ingroia e Giannino: Molti (io in primis) avevano sopravvalutato le possibilità di queste due formazioni. Rivoluzione Civile non è stata capace di raccogliere il malcontento della “sinistra radicale”, che a quanto pare si è riversato nel M5S e nell’astensionismo; Fermare il Declino ha invece fatto un’ottima campagna sui social media, che però sono (ancora?) insufficienti per spostare masse di elettori. Il “falso master” ha sicuramente contato (molti voti sono tornati verso il PDL?), ma l’impressione è che Giannino non ce l’avrebbe fatta comunque. 

2. Il centro di Monti: A molti la salita in politica di Monti – destinato con ogni probabilità ad essere il futuro Presidente della Repubblica – era parsa una scelta politicamente suicida. Non solo si arrischiava in un’avventura dall’esito incerto e con alleati discutibili: ma gettava discredito anche sull’operato dell’anno precedente, che perdeva così lo status di “governo tecnico super partes”. Il Professore si era anche cimentato con i salotti televisivi, costringendosi a bere una birra su La7 o presentando il suo cagnolino; ma è apparso fin dall’inizio un pesce fuor d’acqua.

1. La coalizione di centrosinistra: Male SEL, malissimo il PD. Una campagna elettorale condotta da dilettanti (“Lo smacchiamo” resterà nella storia come peggiore spot di sempre); un rinnovamento che a molti è sembrato solo di facciata; un programma troppo vago e promosso male. Fino a qualche mese fa il Pd non aveva avversari, ed era finalmente destinato a governare; poi, mentre ogni partito sembrava guadagnare qualcosa, Bersani e i suoi si sono progressivamente chiusi nell’autoreferenzialità. Sarebbe bastato prendere alcune (legittime) proposte di Grillo e farle proprie per dimezzare il potenziale del M5S, invece si sono accusati gli elettori indecisi. Ora possiamo aspettarci critiche a chi ha votato Grillo o Ingroia, colpevole di “non aver capito” l’importanza di votarli. Se il PD fosse stato un partito serio, avrebbe iniziato da tempo una seria autocritica, perché quella che chiamano “antipolitica” non è nata per caso ma è una precisa conseguenza della propria incapacità. E avrebbe capito che se gli elettori non ti votano non è colpa della loro stupidità, ma della tua incapacità comunicativa; e di quella presunzione di superiorità morale che è la peggior eredità dell’ex PCI."
A.B.

Come premesso, condivido pienamente un’analisi fatta a caldo e senza riferimento ai numeri ma in grado comunque di cogliere nel segno da tutti i punti di vista che si è scelto di prendere in esame.
Mi sembra doveroso precisare che mi inserisco a pieno titolo, come alcuni lettori sapranno, nella categoria di quelli che Alessandro ha definito “veggenti sconfitti”.
Per chiudere, voglio sottolineare, riprendendo ciò che Alessandro diceva riguardo a Renzi, che, purtroppo, le primarie spesso non portano a scegliere il candidato migliore per vincere le politiche ma quello più conforme agli umori del partito, più gradito alla componente identitaria e militante dell’elettorato. Insomma, alle primarie del centrosinistra poteva accadere ciò che in Inghilterra è avvenuto con la vittoria alle primarie del più moderato Blair (lì era Brown lo sfidante, del suo stesso partito) o quello che in Germania è avvenuto con la vittoria alle primarie di Schroeder (contro Lafontaine). Invece no, non ha vinto Renzi. Ma Bersani. Come nel caso di Borrel contro Almunia in Spagna. E lasciamo stare come poi è andata.