20 febbraio 2013

Il miracolo Giannino e il master-gate

di Francesco Pignotti 

Tutti ne parlano. I giornali, la rete, i social network. L'affaire Giannino - da alcuni ribattezzato, con un'espressione in verità abbastanza forte, "Giannino-gate" o "Master-gate" - è uno dei "temi" principali di una campagna elettorale che si appresta ad affrontare l'ultima curva prima del traguardo.
Che dire di questa (spiacevole) vicenda, tutta fatta di meschine bugie e millanterie?
Tanto per cominciare bisogna inquadrarla nel contesto in cui essa ha preso e sta, ancora, prendendo corpo. Lo sfondo è quello che potremmo definire come il "miracolo di Giannino", il quale ha deciso, qualche mese fa, di dar vita ad un nuovo soggetto politico, con un esordio quasi in sordina, e lo ha porta alla ribalta mediatica, tanto da far pensare al possibile raggiungimento di quel 4% dei voti validi che rappresenta la soglia per l'accesso alla ripartizione dei seggi alla Camera. Un risultato che avrebbe
dell'incredibile, del miracoloso secondo i più, un'impresa.
Giannino è stato abile a sfruttare uno spazio libero e abbastanza remunerativo nel mercato politico attuale. Il frangente politico che
stiamo vivendo ci dice del "glorioso" partito di plastica berlusconiano che sembra liquefarsi di fronte all'inesorabile indebolimento del collante costituito dalla leadership del suo capo carismatico, e che comunque sembra aver tradito, dopo vent'anni, le sue promesse rivoluzionarie (in senso liberale, s'intende!); di un partito che, dopo i risultati delle primarie per la leadership del centro-sinistra (e nonostante quelle per i parlamentari PD), sembra ancora troppo sclerotizzato e talvolta vittima dell'apparato, come il fallito progetto veltroniano prima e la sfida lanciata da Renzi poi sembrano dimostrare, un partito che non sembra ancora in grado di attrarre a sé i moderati (o chiamateli come volete) delusi da vent'anni di berlusconismo; di un'esperienza, infine, quella di Mario Monti, che, nata con le parole d'ordine di innovazione, liberalizzazione, sapere al potere, e così via, si è trasformata in un'operazione politica che a molti può aver ricordato certe esperienze di un passato fallimentare (vista anche la presenza di personaggi come Casini e Fini).
Insomma, il ragionamento per alcuni sembrava poter essere il seguente: Berlusconi ti ha deluso o comunque non è affatto credibile? Renzi ti aveva convinto ma è finita come sappiamo? Monti ha tradito tutto ciò che aveva detto di voler essere? Il debito pubblico italiano è alle stelle? Sei stanco di inefficienze e sprechi di pubblico denaro a fronte di una pressione fiscale inaccettabile, della mortificazione del merito? Puoi votare Giannino, per fare la rivoluzione liberale, quella vera però.
E così, recupera un berlusconiano deluso, un piccolo imprenditore del nord-est stanco di votare Lega, convinci un "renziano" incerto sul da farsi, un indeciso stanco della "vecchia politica" e in cerca del nuovo tanto atteso ma che di votare Grillo no, non se ne parla, Giannino si è fatto strada e ha cominciato a crescere nei sondaggi.
Prima del blackout, visto il trend positivo, alcuni accreditavano l'ipotesi che nelle ultime due settimane Giannino avrebbe potuto portarsi fino al 4% ed entrare quindi alla Camera (oltre che complicare molto la partita per il Senato in alcune regioni chiave). Certo non si può sapere se Giannino stesse effettivamente guadagnando consensi e, soprattutto, a danno di chi; ma la prima ipotesi sembra verosimile e ad essere danneggiato potrebbe esser stato, io credo, soprattutto il centro-destra (e Monti).
Il blackout ci ha lasciati senza riferimenti (ammesso e non concesso che i sondaggi lo siano...!). Ma io credo che, per assurdo, questo abbia avvantaggiato "Fare per Fermare il Declino", perché l'aria che tirava era comunque positiva per Giannino e i suoi, aveva cominciato a diffondersi l'idea della possibilità di raggiungere il 4%, un'idea contagiosa e che poteva alimentare un certo effetto bandwagon (di salita sul carro del "vincitore"), anche in assenza - o forse proprio grazie ad essa - di sondaggi a confermare il tutto.
E poi cos'è successo? E' accaduto l'imprevedibile. Ovvero è stato accertato che il master che Giannino diceva di avere preso all'Università di Chicago Booth non esiste (così come la sua laurea in giurisprudenza).
La prima mossa l'ha fatta Luigi Zingales, candidato per Fare (ed ex consigliere economico di Renzi), che ha platealmente denunciato l'inesistenza del master di Giannino. Da lì in poi "la cosa è montata", specialmente in rete, e la clamorosa bugia di Giannino è adesso sulla bocca di tutti.
Tralascio tutto ciò che poi è avvenuto negli ultimi due giorni (è adesso in corso, da più di tre, ore la direzione di "Fare" che dovrà decidere sul passo indietro annunciato dal suo leader), e mi - e vi - chiedo: quanto pesa questa vicenda? Ovvero, quanto sarà rilevante in termini di voti per il movimento "Fare per Fermare il Declino"?
Il crescente consenso attorno al movimento guidato da Giannino sembrava dovuto alla convinzione di molti di aver individuato, oltre che un programma davvero liberale all'altezza dei problemi da risolvere, qualcuno in grado di realizzarlo, perché ispirato dalle parole d'ordine della serietà, della trasparenza, del merito. Tutta la campagna elettorale di "Fare" è stata impostata su questo. Ed è consequenziale, io credo, che ciò che accaduto non possa non avere ripercussioni negative in termini di voti.
Potrebbero valere le seguenti obiezioni: all'elettore convinto della validità del programma di Giannino poco importa del suo falso master; in fondo in Italia fanno tutti così, non siamo in Finlandia; lo ha fatto per una "vanità infantile", come sostiene oggi (qui) Luca Sofri. Si potrebbe perfino dire che va bene così, perché il valore (legale) del titolo di studio non è in fondo così importante - cosa che peraltro io condivido a pieno. Ma non è affatto questo il punto.
Tutte queste obiezioni potrebbero valere. Ma secondo me è troppo rilevante nell'elettorato potenziale di Giannino quella componente che spingeva a votarlo perché "diverso". Ecco, è fin troppo banale, ma nei momenti, come questo, di crisi della politica (e non solo) per convincere serve essere diversi. 
E Giannino la sua "diversità" (vestiti a parte) se l'è giocata.

PIGNO