27 aprile 2013

E adesso?


di Alessandro Bezzi

E adesso? Con l’appoggio bipartisan a Napolitano e il governo “di larghe intese”, il Pd è riuscito a legittimare chi ne criticava la sostanziale convergenza e le affinità con il centrodestra. Ma le decisioni delle ultime due settimane impongono anche di guardare con diversi occhi al passato: si voleva davvero offrire un modello di società diverso dal berlusconismo, che oramai ha egemonizzato culturalmente il Paese, o si trattava solo di portare avanti un teatrino?

L’antiberlusconismo è stato l’unico vero collante degli ultimi 20 anni di centrosinistra, anche per la facilità del messaggio da veicolare e la possibilità di nascondere dietro questa bandiera debolezze culturali prima ancora che programmatiche. Abbiamo creduto di avere una sinistra moderna semplicemente perché avevamo una destra feudale, capace di aggregare intorno alla splendida macchina comunicativa del capo interessi particolari che poco avevano a che fare con un progetto politico preciso.

Assieme all’attività legislativa berlusconiana, anche la critica di sinistra si è fatta sempre più ad personam: più attenta ai comportamenti dell’uomo che ad altrettanto discutibili decisioni politiche. Brava ad indignarsi, ma più per i bunga bunga che per le riforme di scuola, lavoro, università. Mentre la sudditanza culturale si faceva sempre più evidente, la presunta superiorità morale di leader, stampa ed elettorato di centrosinistra ha fatto il resto: si è diffusa la convinzione di essere l’ “Italia giusta” (non a caso, slogan delle ultime, fallimentari, politiche) e ci si è arroccati su un antiberlusconismo utilissimo a nascondere le debolezze programmatiche.
   
Mentre Berlusconi agitava lo spauracchio dei comunisti (…), la paura di un governo con Lega ed ex MSI compattava un centrosinistra diviso su tutto il resto; la consapevolezza di essere un Paese di centrodestra imponeva una rincorsa all’elettore mediano, che spostava progressivamente l’asse politico verso il centro regalando il proprio elettorato a formazioni sempre più scalcinate, all’astensionismo o a Grillo. Non è un caso che le Quirinarie del Movimento 5 Stelle abbiano indicato solo nomi “di sinistra”, che ne sintetizzano le varie anime in tutti i suoi aspetti (impegno civico; attenzione alla cultura e ai beni comuni; rispetto della Costituzione e della legalità, etc.) meglio di quanto è riuscito a fare il Pd. E’ evidente che molti “grillini della prima ora” provengano quindi da una cultura politica “di sinistra”, e che un centrosinistra meno impaurito avrebbe potuto farli diventare una risorsa per sé e per l’Italia. Così come avrebbe potuto non perdere milioni di elettori: il successo del M5S non è una causa della crisi dei partiti, ma un effetto.

Proprio in queste ore, è in corso il totoministri per il governo Letta: ed ancora una volta, i programmi sono vaghi. Il centrosinistra sa che per il suo popolo è indigeribile vedere Schifani ministro (linko l’ottimo articolo di Gilioli) anche perché l’elettorato oramai è più attento ai volti che non ai contenuti, per quel fenomeno di personalizzazione della politica che ha effetti discutibili: leaderismo, ma anche attenzione ai gossip più che ai contenuti, alle Ruby e alle Minetti più che alle finanziarie.
Autoreferenzialità; incapacità di ascoltare la base; enormi carenze comunicative; debolezza programmatica; cooptazione; totale incapacità di rinnovamento. Se non affronteranno questi problemi, i partiti classici sono destinati a conoscere nuove sconfitte. Giustamente.