29 marzo 2013

L'anno (Iraniano) che verrà.


di Viola E. Bruttomesso, con commento di Filippo Barbagli

Il 20 di questo mese si è festeggiato il nuovo anno Persiano, secondo il calendario Zoroastriano la più importante festa nazionale del paese di Ahmadinejad. Ed è proprio il presidente Iraniano “tornato” alla ribalta durante i funerali del Presidente venezuelano Hugo Chavez che in questi giorni sta mettendo in subbuglio il suo paese in vista delle elezioni presidenziali del 14 Giugno. Molti osservatori credono che non potendo più ricandidarsi per il terzo mandato Ahmadinejad cercherà di adottare la formula dei suoi vicini russi Medvedev/Putin, cercando di promuovere a suo successore il capo del suo staff, Esfandiar Rahim Mashae. 


Mashae, leader di una corrente più “liberale” all'interno del partito e inviso all'Ayatollah per le sue posizioni estremamente laiche. Secondo quanto prescritto dalla legge Iraniana, la quale prevede che, dopo aver servito il paese per otto anni, sia necessario per ricandidarsi un periodo di quattro anni di stop, prima che un potenziale presidente possa partecipare di nuovo alle elezioni. Per questo si pensa che la “formula russa” farebbe di Mashei l'apri pista diAhmadinejad, intenzionato a tornare al potere dopo i canonici quattro anni di stop. Il piano del leader ultra-conservatore dovrà passare però per le forche caudine del Consiglio dei Guardiani i quali hanno il potere di non approvare la candidatura di nessuno dei membri della sua lista. Di fatto il presidente uscente ha creato numerosi grattacapi alla Repubblica degli Ayatollah, non ultimo la minaccia di rivelare segreti riguardanti alti funzionari del regime.

Ma davvero Ahmadinejad può rivelare segreti imbarazzanti per il regime? Sembra di sì. Per anni egli ha lasciato intendere di essere in possesso di segreti riguardanti alti funzionari del regime e che sarebbe disposto a usare contro di loro. Durante la campagna eletttorale per le presidenziali del 2009 Ahmadinejad ha più volte accennato a questi segreti nel corso dei dibattiti con Mir Hossein Mousavi, Mehdi Karroubi e Mohsen Rezaei ( i tre candidati in corsa per la presidenza ora agli arresti domiciliari). Proprio lo scorso gennaio ha pubblicato un video che ha scatenato il Larijani-gate, il caso di corruzione di uno dei portavoce al Consiglio della Guida Suprema. Non solo questa è un'azione quasi senza precedenti nella storia della Repubblica islamica, ma è anche un attacco contro una delle più potenti famiglie politiche della repubblica islamica.
Ci si chiede a questo punto se Ahmadinejad userà i suoi poteri per creare una crisi politica nel paese e la risposta anche in questo caso è sì: il tandem Ahmadinejad-Mashaei potrebbe benissimo creare una crisi politica interna nei prossimi mesi, l'uso dei poteri del presidente per cercare di “disturbare” le prossime elezioni del 14 giugno ne è una prova fondamentale. Ma nonostante questo non si perdere di vista la relativa debolezza di questa corrente politica e la realtà del potere nella Repubblica islamica.
La maggior parte dei voti che sostennero Ahmadinejad nel 2009 venivano dalla classe povera dei lavoratori che però non ha mai creato un movimento di massa come fu il Movimento Verde, ma si disperse dopo le elezioni, senza lasciare significativa traccia di sé. Il partito nazionalista-conservatore “Alleanza dei Costruttori dell'Iran Islamico” (considerato laico ma in linea con l'impronta islamica della Repubblica Iraniana) dell' oramai ex-presidente sembra avere perso i consensi necessari per vincere in Iran, soprattutto relativamente alle nuove sanzioni economiche che hanno messo in ginocchio, per l'ennesima volta, un paese già pesantemente colpito in passato dalle “multe” inflitte dalla comunità internazionale per le varie violazioni relative all'uso militare del nucleare. Queste sanzioni, che come ovvio, si riflettono pesantemente sulla popolazione civile e sono portatrici di conseguenze politiche non indifferenti. Come racconta un commerciante di Teheran ad al-Jazeera i consumi sono calati drammaticamente e le tasse per i commercianti si sono alzate impattando pesantemente sui consumi e quindi sul reddito familiare. Ma è anche opinione comune in Iran che questa drastica situazione sia causata dalla cattiva amministrazione di questi anni. L'Iran è uno dei più importanti esportatori di petrolio ma il fatto di affidarsi esclusivamente ai petrodollari e non investire su un economia produttiva, come è stato fatto in molti paesi del Medio Oriente, è causa di un livello di disoccupazione altissimo a fronte di un numero di laureati in continua crescita anche grazie al fatto che il governo si sta impegnando su fronte della formazione istituendo nuove Università in tutto il paese.
I vari tentativi di creare una base economica fatti da Ahmadinejad e dai suoi collaboratori, come è evidente, non hanno dato i frutti sperati ed hanno portato solo ad una serie di recenti scandali di corruzione finanziaria. A questo si aggiunga che i tentativi da parte del partito dell'ex-presidente di penetrare la burocrazia iraniana attraverso le nomine non sono riusciti molto meglio, molti dei nominativi da loro proposti che non sono stati bloccati dal parlamento, sono stati fermati con altri mezzi. Solo i tentativi di raccogliere segreti imbarazzanti su alti funzionari sembrano aver incontrato un certo successo, è necessario ricordare che la base di sostegno principale è soprattutto nella comunità dell'intelligence, nella quale sia Ahmadinejd che il suo potenziale successore hanno fatto carriera. Ma anche qui i loro sforzi sono stati frustrati. Il palese tentativo di rimuovere il capo dell'Intelligence nel 2011, Heydar Moslehi, da parte di Ahmadinejad fu fermato dal leader supremo.
Per il momento, il Khamenei continua a sostenere Ahmadinejad nonostante le sue continue sfide lanciate al leader supremo. Ma è chiaro che la linea dura dell'establishment iraniano è pronta ad abbandonare Ahmadinejad. Senza una considerevole base sociale, economica, burocratica a sostenerli il tandem Ahmadinejad-Mashaei non è destinato a durare a lungo. Questo può benissimo spingere il presidente ed i suoi più ardenti sostenitori a creare una crisi politica interna nei prossimi mesi. Ma questo non li salverà dal destino che è stato già deciso per loro, l'esilio dal centro della scena politica iraniana.

Gli effetti delle sanzioni europee
Le relazioni tra l'UE e l'Iran sono da esattamente un anno assai compromesse dall'approvazione delle sanzioni. Il 23 marzo dell'anno scorso infatti il Consiglio dell'Unione Europea ha approvato il regolamento 267/2012 concernente misure restrittive nei confronti della repubblica islamica, l'embargo petrolifero, il congelamento dei beni di persone fisiche e giuridiche (per una quota attuale di 87) ed il divieto di viaggio per costoro. Lo scorso 26 marzo, l'Alto Rappresentante Ashton, sulla base della decisione del Consiglio dell'11 marzo, ha dichiarato la continuazione delle sanzioni fino al 13 aprile 2014. Esse non coinvolgono solo l'UE, ma anche l'entrante Croazia, i candidati Macedonia ed Islanda, senza dimenticare paesi come l'Albania, la Moldova e quelli dell'EEA, in primis la Norvegia.
La causa principale alla base di tale sanzioni sono le violazioni dei diritti umani nella repubblica iraniana. Tale impostazione è sicuramente lodevole, è riconferma l'UE come entità internazionale con il compito di tutela e difesa dei diritti umani. Ma parlando realisticamente, i risvolti sono più avvilenti. Innanzitutto per la popolazione, la prima vittima del calo (al maggio 2012) del 90% delle esportazioni petrolifere. Perché comunque i savi religiosi ayatollah e l'élite al potere, come sempre, avranno visto scalfito ben poco la loro ricchezza. Ovviamente intendo quella spirituale, che Allah mi fulmini sennò...A coprire l'intero mercato iraniano ci ha pensato quindi la Cina, espandendo così la sua influenza oltre al Pakistan.
In secondo luogo l'UE si limita alle sanzioni, evitando (od essendo esclusa?) di partecipare attivamente ai negoziati sul nucleare iraniano, limitandosi a seguire l'impostazione degli USA. In questo modo rinuncia, un'altra volta, a prendere una chiara e soprattutto forte presa di posizione su una questione che la riguarda da vicino, che rientra nella sfera di proiezione di interessi geopolitici e strategici fondamentali. Ecco perché lo strumento delle sanzioni rischia di rivelarsi un'arma a doppio taglio: facendo legare economicamente due paesi antidemocratici come l'Iran e la Cina, impoverendo la popolazione -con le conseguenze sociali che ben storicamente conosciamo-, e rimanendo tagliata fuori da quella che è realmente la posta in gioco: i nuovi equilibri di potere nel Medio Oriente, dopo la primavera araba, l'Iraq e l'Afghanistan. 
Ancora una volta insomma, un'Europa che agisce troppo poco.