11 marzo 2013

Renzi e il futuro del PD, questa gioiosa smacchiatrice da guerra

di Francesco Pignotti

Mentre sembra naufragare l'ipotesi di "governo 8 punti" Pd-M5S targato Bersani, mentre a destra si combattono disturbi visivi a colpi di visite fiscali, nel Pd si sta aprendo una partita che sarà decisiva per le sorti del partito nato appena 5 anni fa.
Il PD doveva essere un partito leggero, ma non lo è. Un partito a vocazione maggioritaria, ma non lo è. Un partito di elettori, più che di eletti e di iscritti, ma non lo è. Il PD, dopo 5 anni, è un qualcosa di profondamente diverso da quello che, almeno io,
mi aspettavo uscisse dalla "rivoluzione" veltroniana.
Queste elezioni, tra le tante cose, hanno evidenziato la profonda crisi del partito vecchia maniera, il partito di massa novecentesco, quello dell'alto numero di iscritti, quello della militanza ideologica, delle sezioni, quello dei congressi, della dirigenza, dell'"apparato", quello "pesante".
Sono mutate le condizioni storico-politiche, la situazione è profondamente diversa, e forse richiederebbe un partito più "moderno", più leggero, più aperto, con un'attenzione e una presenza maggiori nella società, tra gli elettori, tra i cittadini, e un peso minore all'apparato.
Anche questo vuol dire innovazione, progresso, riformismo.
Se il partito personale e di plastica sembra destinato alla liquefazione non appena sarà venuto a mancare il collante costituito dalla leadership carismatico-autoritaria del suo padrone (per inciso, secondo me l'affermazione elettorale di Berlusconi non fa che danneggiare il PDL nel breve-medio periodo), le incrostazioni apparato-centralistiche del PD sembrano altrettanto anacronistiche. Per questo le assurde regole di accesso al voto per le primarie del centrosinistra (contro cui mi sono scagliato a più riprese) non erano solamente un freno a Renzi e alla sua possibile affermazione, ma un pericolosissimo rifiuto dell'innovazione, dell'alleggerimento e dello svecchiamento di un partito che rischia adesso di essere troppo pesante per muoversi competitivamente. Chi ha criticato le regole delle primarie, non lo ha fatto per una difesa partigiana ad oltranza di un candidato, ma perché queste erano il segno di un partito che continuava a muoversi nella direzione opposta a quella in cui avrebbe dovuto, perché è questo che i cittadini-elettori chiedevano (e stanno chiedendo) a gran voce.
Io penso che il modello di partito a cui il PD continua, nonostante tutto, ad ispirarsi sia prossimo al proprio capolinea, basta aprire gli occhi per dirlo, osservare con un minimo di occhio critico la realtà e la società.
Il PD, quello delle regole per le primarie, quello della campagna elettorale, quello della direzione nazionale, non ha un futuro radioso. Non può averlo, io credo sia un dato di fatto, piaccia o meno.
Ci vuole qualcos'altro. Questo PD non sarà più la gioiosa macchina da guerra, ma rimane comunque una gioiosa smacchiatrice da guerra. Altro che vocazione maggioritaria!
E allora, che fare?
Matteo Renzi potrebbe essere la risposta giusta, per dare un volto nuovo al PD; in fondo a questo mirano le battaglie per primarie aperte e abolizione del finanziamento pubblico. Chi ha visto "Che tempo che fa" due sere fa ha potuto constatare che la campagna elettorale per nuove primarie sembra essere cominciata. Ma stavolta in gioco c'è anche il futuro del PD. E con questo anche quello del paese.
Qualche giorno fa ho assistito ad uno scambio di opinioni tra D'Alimonte e Morlino, non esattamente i primi due che passano. D'Alimonte, istituendo un parallelo tra Renzi e Blair, sosteneva che il primo non riuscirà laddove il secondo ha avuto successo, dal momento che Blair ha sì stravolto la fisionomia del vecchio Labour Party, ma lo ha fatto partendo da una posizione di insider, di uomo interno al partito, cosa che Renzi non è affatto, anzi. Ad eventuali nuove primarie per la segreteria (anche se il termine primarie è improprio in questo caso) secondo D'Alimonte verrebbe preferito un altro candidato, magari uno come Barca, più gradito al mondo della sinistra ma non in grado di modificare fino in fondo la natura attuale del PD. E un Renzi candidato premier di un partito che non è come lui (ed io) vorrebbe, non può andare lontano.
Morlino invece sottolineava l'atteggiamento leale e di basso profilo del sindaco di Firenze, finalizzato ad accreditarsi come un insider agli occhi della dirigenza e dell'apparato di partito, in vista di un'azione compiuta dall'interno.
Staremo a vedere. Per me resta il fatto che questo PD non può andare molto lontano. Occorre fare qualcosa; Renzi potrebbe, io credo. Ma non è detto che ci riesca.