27 settembre 2011

L'Italia ai tempi della crisi


Il declassamento
E’ di martedì scorso la notizia che l’Italia è stata declassata da A+ ad A dall’agenzia di rating “Standard & Poor’s”; è di martedì scorso cioè la notizia che l’Italia scende di un ulteriore gradino nella speciale classifica che indica la qualità dei debiti sovrani ed il rischio di insolvenza di uno stato - e qualche sentore lo si era del resto già avuto guardando come lo spread (cioè la differenza tra rendimento) tra Btp italiani e Bund tedeschi si era allargato negli ultimi giorni). Tralasciando intenzionalmente la questione riguardo al ruolo determinante dei giudizi delle agenzie di rating oggigiorno nell’economia (all’opportunità ed alla
desiderabilità di ciò), il declassamento del debito pubblico italiano è un giudizio inappellabile che non fa altro che confermare, suggellandola, una situazione di profonda crisi economica per il nostro paese. Sono note a tutti le condizioni in cui si trovano finanza ed economia mondiali a partire dalla crisi del 2007/2008 in USA ed ininterrottamente fino ad oggi. Tuttavia la situazione italiana appare particolarmente critica: la pesante eredità di un debito pubblico accumulatosi e cresciuto esponenzialmente anche (soprattutto) a causa di una gestione, diremmo, “allegra” delle risorse pubbliche ad opera di governi sostanzialmente irresponsabili durante la Prima Repubblica, un’evasione fiscale diffusa che attualmente si configura come una delle principali palle al piede del nostro paese, una previsione di crescita poco superiore allo 0% per i prossimi due anni – e potremmo continuare a lungo – mettono l’Italia nel mirino della speculazione, il che, tradotto, significa che, considerate le conseguenze della situazione appena descritta ed anche dei rimedi che sembra necessario adottare, ci sarà da soffrire per i cittadini italiani.
Tuttavia c’è chi ha pensato bene che la risposta adatta da dare rispetto al taglio del rating dell’Italia sia quella di accusare l’agenzia di rating in questione di fornire giudizi politici e frutto di una presunta attività anti-italiana dei giornali, pur di continuare a negare una crisi ormai innegabile. Personalmente non credo che un’agenzia di rating produca i suoi giudizi leggendo i giornali o seguendo opinioni e preferenze politiche (semmai i problemi sono altri e di altra natura ma, come ho detto prima, sorvolo intenzionalmente su ciò) e la controrisposta di Standard & Poor’s in questo senso non si è fatta attendere.
Forse quelli di Standard & Poor’s non sanno che possono ritenersi fortunati, giacché poteva andar loro molto peggio: potevano essere definiti dal soggetto in questione, che so, dei comunisti…

Il costo del non governo 
Parlavamo dunque di  Silvio Berlusconi. Come si diceva sopra, la risposta del presidente del consiglio al taglio del rating italiano è consistita nel riversare la colpa sui giornali, nel parlare di un giudizio politico, nell’evocare non meglio precisati “poteri anglofoni” avversi. Del resto in Italia conosciamo ormai bene questa strategia comunicativa: riduzione manichea della realtà (il buon Silvio contro i cattivi, contro il male), creazione della figura del nemico, che è suo avversario e quindi avversario del bene, anti-italiano, nostro avversario, cui dare la colpa quando le cose non vanno come dovrebbero, quando qualcosa ostacola la piena realizzazione del progetto berlusconiano (i comunisti, i magistrati, i giornali e via elencando). Berlusconi utilizza tale schema comunicativo/narrativo dal 1994 riguardo le vicende politiche di casa nostra; martedì lo ha sperimentato (e non è la prima volta) in ambito internazionale, nei confronti appunto di Standard & Poor’s, per sottolineare come quella del declassamento sia stata una decisione presa da poteri avversi a Berlusconi e all’Italia, da qualcuno che agisce per il nostro male, e non piuttosto qualcosa che certifica la critica situazione italiana. Già, perché è vero che tale situazione critica è certamente dovuta alle cause cui prima accennavamo (crisi mondiale, elevato debito pubblico, evasione fiscale, etc.), ma è altrettanto vero che un presidente del consiglio ed un governo assai poco credibili non solo non riescono a risolvere i problemi, ma anzi li aggravano.
L'immagine che all'estero
si ha di Berlusconi,
del governo e di conseguenza
del nostro paese aggrava
le nostre difficoltà
Da una parte abbiamo un premier al centro di più che presunti scandali sessuali, coinvolto in intercettazioni telefoniche dalle quali emergono verità sempre più squallide ed incredibili, avvezzo a dichiarazioni e battute che ne evidenziano la caratura morale, coinvolto in numerose inchieste giudiziarie; dall’altra abbiamo un governo fragile, che si regge su una risicatissima maggioranza alla camera – una maggioranza spesso divisa, litigiosa, e tale solamente grazie a chi il 14 dicembre scorso ha deciso di rinnovare la fiducia al governo Berlusconi, in molti casi con un rapido e prodigioso cambio di casacca -, un governo spesso battuto in aula, e che comunque non riesce – e non potrebbe essere altrimenti – a portare avanti un programma di riforme strutturali indispensabili per il nostro paese in questo frangente.
La credibilità del governo italiano è pressoché nulla: è impossibile riuscire a mettere in campo un piano strutturale che favorisca la crescita, l’occupazione, la diminuzione del debito pubblico nel lungo periodo. E’ di questo che abbiamo bisogno; è questo che tutti chiedono alla politica, al governo, i cittadini, i giovani, i pensionati, i lavoratori, i disoccupati, i sindacati, Confindustria. Ed è esattamente tutto ciò che da questo governo no avremo mai. Questo lo sa Standard & Poor’s e lo sanno i mercati: è la “tassa Berlusconi” sull’Italia, è il costo del non governo.  

Nella manovra molti tagli
ma poca attenzione alla crescita
La manovra 
La risposta del governo italiano a quest’ultima fase acuta della crisi è stata la manovra divenuta legge nei giorni scorsi. Una manovra certamente necessaria ed indispensabile in vista dell’azzeramento del deficit e del pareggio di bilancio, che tuttavia guarda poco al fondamentale aspetto della crescita; una manovra che, senza scendere nei dettagli, dopo essere stata modificata ben 4 volte (ulteriore conferma delle divisioni e difficoltà all’interno della maggioranza) punta al pareggio di bilancio nel 2013, tuttavia con molte misure inique, che penalizzano fasce deboli di cittadini, enti locali e, soprattutto, ripeto, non sembrano puntare alla crescita economica del nostro paese, necessaria per la riduzione del debito. Dov’è finita la “frustata al cavallo dell’economia” annunciata da Berlusconi non più di qualche mese fa?
Un altro aspetto da sottolineare mi sembra poi quello relativo al taglio ai costi della politica. Tagli abbastanza consistenti alle indennità parlamentari e alle agevolazioni per i nostri rappresentanti erano stati previsti nella prima versione della manovra, salvo poi essere di molto “alleggeriti” nella cosiddetta “manovra bis” al Senato e riconfermati in quest’ultima versione molto soft anche alla Camera, con il clamoroso dietro-front dell’ “anti-romana”!! Lega Nord che aveva inizialmente annunciato di voler ripristinare la versione originale.

Back to 1992? 
Il rischio è proprio quello di trovarsi in una situazione simile a quella del 1992, all’epoca di Tangentopoli e della fine della Prima Repubblica. In questi giorni leggiamo sui giornali di inchieste giudiziarie in cui sono indagati bracci destri di importanti ministri così come di leader dell’opposizione. Non volendo scendere nei particolari delle vicende Milanese e Penati, basti evidenziare come il primo sia stato salvato dall’arresto preventivo grazie al voto della Lega alla Camera (opportunamente preceduto dalla sparata di Bossi nei giorno scorsi sulla secessione, nell’illusione che in questo modo la Ln possa riuscire a mantenere il ruolo di partito di governo e di lotta, romano e padano, conservando intatto il proprio elettorato) ed il secondo, pur autosospesosi da capo della segreteria di Bersani, mantenga il suo incarico in Regione.
Premetto che non sono un giustizialista e che nemmeno amo i giustizialisti. Ma qui non si tratta di me, qui si tratta di milioni di italiani, ai quali, peraltro, vengono richiesti grandi sacrifici. E allora, se ai già citati casi Milanese e Penati (sui quali, ripeto, sarei pronto a discutere, partendo da una posizione non netta, intermedia) si aggiunge la manfrina sui tagli ai costi della politica - prima da tutti invocati come una panacea, poi promessi con la manovra estiva ed infine vergognosamente fatti sparire -, gli insopportabili privilegi ingiusti del ceto politico a tutti i livelli di governo, la mancata abolizione delle province, le intercettazioni da cui emerge un mondo squallido fatto di potere, sesso, soldi, donne-oggetto, ricatti, abusi di potere al centro del quale figura niente meno che il presidente del consiglio, parlare di rischio di ritorno ad una situazione come quella di fine prima repubblica (fatte le dovute differenze) non mi sembra eccessivo.
Beninteso, quando parlo di tagli ai costi della politica (riduzione del numero dei parlamentari, indennità, pensioni, vitalizi, sconti-mensa e via discorrendo) o di abolizione delle province, sono perfettamente consapevole che tali misure cambiano di poco la situazione di crisi economica in cui si trova il nostro paese, che non sono quelli i rimedi strutturali di cui c’è bisogno; tuttavia li ritengo assolutamente fondamentali nel momento in cui vengono richiesti al popolo italiano dei sacrifici pesanti. E’ una questione di credibilità, ancor prima che di giustizia. E’ credibile chi ci chiede di fare sacrifici se non solo non è lui il primo a farli, ma non riesce neanche a rinunciare ad ingiusti privilegi?
No, i costi eccessivi e gli ingiusti privilegi della politica contribuiscono da una parte a renderla non credibile e dall’altra a diffondere tra la gente pericolosi sentimenti antipolitici: molti cittadini non riescono più a trovare nella politica la possibile soluzione ai loro problemi e per le prossime elezioni c’è chi parla addirittura di un astensionismo al 40%.


Quale alternativa? 
Da quanto finora emerso appare evidente la necessità di un’alternativa credibile; si è già detto infatti di come la condotta di questo governo aggravi una situazione già fortemente compromessa. In una democrazia competitiva l’alternativa al governo in carica  ed alla maggioranza parlamentare che lo sostiene, lo sappiamo, è l’opposizione. E’ l’opposizione che, oltre a dover vigilare sull’operato di governo e maggioranza, a denunciarne difetti e disfunzionalità, ad opporsi alle proposte che non ritiene giuste ed opportune, dovrebbe presentarsi , tanto più in un momento di crisi e debolezza per l’esecutivo, come una reale alternativa al governo o meglio, come si ama tanto dire in contesti più o meno bipolari, una forza di governo momentaneamente all’opposizione (del resto è su questo che si basa la dinamica competitiva in una democrazia).
In Italia in questo momento non è così. Sono tanti i difetti, gli errori, le debolezze del centro-sinistra e del PD in particolare; ne ho già parlato altre volte su questo blog, ad esempio in "Berlusconi, le tasse e la sinistra". Tuttavia, per concludere, mi soffermerò solamente su un aspetto, che mi sembra però paradigmatico.
Le difficoltà del governo Berlusconi e la situazione non certo rosea dell’Italia sono dati ormai acquisiti da tempo. Ebbene, in tutto questo lasso di tempo, la sola posizione certa assunta dal PD (la principale forza del centro-sinistra) riguardo scenari futuri è stata la seguente: “Berlusconi si dimetta” – disponibile anche nelle varianti di “Lasci!” o del gettonatissimo “Faccia una passo indietro”. Per il resto solo una molteplicità di posizioni incerte, confuse, contraddittorie, assunte a seconda del momento, del luogo, del soggetto. Si fa fatica anche solamente a tenerle e mente; dovrebbero essere all’incirca le seguenti: “ribaltone” e governo di transizione, senza passare dal voto, con terzo polo e forze “responsabili” della maggioranza (speriamo che siano più responsabili de “I Responsabili” di Scilipoti…!); santa alleanza, tutti insieme senza Berlusconi; al voto in coalizione con Idv e Sel; al voto con il terzo polo; al voto con Idv, Sel e terzo polo; apertura alla Lega; il candidato del Pd è il suo segretario; no, facciamo le primarie per il candidato premier; facciamo le primarie di coalizione (quale coalizione??). Ciascuna posizione è stata utilizzata più volte, spesso a contraddirne un’altra dopo poco tempo o addirittura nello stesso momento a seconda della paternità della proposta.
Insomma, nel centro-sinistra non c’è nemmeno una posizione condivisa ed unitaria sul da farsi per un eventuale dopo-Berlusconi, su alleanze, coalizioni, candidato premier e modalità di selezione di quest’ultimo. Trovo assurdo ed incredibile che in un momento di crisi per il paese e per il governo, l’opposizione non sia già pronta quantomeno dal punto di vista strategico, compatta, unita, con una posizione chiara almeno riguardo al presentarsi alle elezioni, come, con chi, con quale candidato premier; ma può darsi che io sia un sognatore…
PIGNO