18 luglio 2013

Il PD e quella minoranza indignata

Alessandro Bezzi

Mi ero promesso di non scrivere niente degli equilibrismi politici di questo PD: non solo perché c’è chi lo ha già fatto molto meglio di quanto saprei fare io (Wu Ming su Internazionale, per dirne una), ma soprattutto perché mi pare inutile, visto il peso e la coerenza politica che il centrosinistra sta dimostrando di avere. Stuzzicato da qualche amico, però, ho pensato di fissare alcuni spunti.

Venti anni di antiberlusconismo, sempre più gridato e sempre meno effettivo, ci hanno portato un governo di larghe intese con Berlusconi: che le differenze programmatiche fossero poche lo sospettavamo, come pure sapevamo dell’incapacità a proporre una visione – del Paese, del mondo, del lavoro – diversa. Quello che non potevamo immaginare era una così netta convergenza di interessi e di pratiche, che costringe a dare ragione al “Sono tutti uguali” grillino, dimostratosi tanto becero quanto (purtroppo) veritiero. Adesso, ironia della sorte, è diventato il Movimento 5 Stelle lo spauracchio agitato dai democratici per nascondere le proprie debolezze: una narrazione che, peraltro, fa comodo ad entrambi gli attori, nonostante (e proprio grazie a) gli isterismi dei rispettivi ultras.

Premesso questo, analizziamo la situazione odierna partendo dalle ovvietà: Alfano dovrebbe dimettersi, ma è tutto il governo Letta ad esitare pericolosamente – e quasi quotidianamente – su ogni questione. Dalle sparate di Calderoli alle interruzioni “chieste” da Berlusconi, siamo oramai alla farsa: e se il centrodestra è il primo colpevole di queste ambiguità, il centrosinistra non ha fatto niente per rivendicare la sua presunta superiorità morale. Mai un impeto di orgoglio, uno strappo, una polemica: tutto in nome della “responsabilità” verso un governo irresponsabile.

Un amico mi ha linkato stamani il suo pezzo sul caso Alfano, ribadendo le responsabilità del Pd e ricordando come una parte del partito (capitanata da Renzi) si fosse dissociata. Purtroppo, non mi è sembrato niente più che un gioco delle parti, con un copione già  visto. Ecco come funziona.

Una parte della dirigenza contesta puntualmente le allucinanti decisioni prese, fingendo che ogni dibattito sul futuro del governo (e del Paese) sia riconducibile a una divisione interna al Pd. Davanti ad una scelta, regolarmente, si prende la posizione più vicina al PdL (o a qualche gruppo di pressione), salvo poi delegare l'indignazione ad una parte minoritaria del partito. Ogni conflitto (su Prodi presidente, sugli F35, sulla sfiducia ad Alfano) viene ricondotto a un regolamento interno: si prende una posizione che scontenta l'elettorato, giustificandone l'ineluttabilità e mostrando che non tutti, comunque, la pensano così. In questo modo si contiene il fermento della base e si dà spazio ad alcuni personalismi (i Renzi, i Civati, etc) destinati nel lungo periodo a succedere all’eterno establishment attuale.

Ma è un gioco che non può durare a lungo:  e personalmente, sono stanco di un partito che non solo adotta posizioni simili, ma non ha neanche il coraggio di assumersene in toto la responsabilità. E che per mantenersi al potere non si fa problemi a prenderci palesemente in giro. Basta con le mortificanti scuse ("Ce lo chiede l'Europa", "Dobbiamo sostenere il governo", etc.) e basta anche con "Non tutto il PD la pensa così", Occupy Pd", etc. È inutile se poi chi decide continua a prendere posizioni imbarazzanti; se l’indignazione di oggi domani è già dimenticata; se basta cambiar faccia per recitare ancora lo stesso copione.

Da qui, una domanda. Quanto i sostenitori Pd possono continuare così, prima di sentirsi presi in giro? Oppure molti sono già complici - consapevoli - di un modus agendi che in teoria contestano?