9 maggio 2013

Noi dobbiamo completare la rivoluzione europea


Filippo Barbagli


Siamo sinceri. In quanti sapevano che oggi era il giorno dell'Europa? E per restringere il cerchio, in quanti sanno perché è stato scelto proprio il 9 maggio?
Ci avete pensato? Probabilmente vi siete guardati attorno per un secondo imbarazzati, ma poi rincuorati dal fatto che “tanto non lo saprà nessuno”. Ecco, appunto, questo è oggi il problema dell'Europa. Non la crisi dell'euro.

Personalmente trovo alquanto buffo che una giornata del genere non sia una festa nazionale (leggi, in termini europei ovviamente), mentre ci ostiniamo a festeggiare dodicenni rimaste incinta da probabili pratiche pedofile ma che con un colpo di genio hanno sostenuto di essere state ingravidate da una divinità.


Il 9 maggio è la festa dell'Europa perché è l'anniversario di quello che viene considerato l'atto d'inizio del processo d'integrazione. In quel giorno, 63 anni fa, nel Salone dell'Orologio del Ministero degli Affari Esteri francese, il ministro Robert Shuman leggeva una dichiarazione, scritta da Jean Monnet, in cui si proclamava la volontà di stabilire definitivamente la pace in Europa tramite la cooperazione tra le due maggiori potenze, Francia e Germania (allora RFT). Un processo che sarebbe partito dallo sfruttamento congiunto delle risorse del carbone e dell'acciaio, soprattutto tedesche.
Quello è stato un atto veramente rivoluzionario. Possiamo addurre tutte le motivazioni più realiste del mondo, che la Francia non voleva far riarmare la Germania e così via, magari sono anche tutte giustissime, ma rimane un fatto unico nella storia dell'Europa. Le potenze che per secoli si erano fatte la guerra per il controllo egemonico del Continente, si legavano in quel momento le mani per non potersi più ammazzare a vicenda. A me non pare che gli Stati Uniti e l'URSS decisero di cooperare insieme sulla produzione nucleare, e guardate che bei risultati ci ha regalato la guerra fredda.
Nella vulgata spesso si definiscono i Padri dell'Europa illuminati. Certo, essi hanno svolto un ruolo fondamentale e per certi aspetti sono stati dei visionari, dei rivoluzionari. Ma in primis erano uomini, e donne, che avevano vissuto l'esperienza delle guerre mondiali sulla propria pelle. Della distruzione totale. Della catastrofe. Del suicidio volontario dell'Europa, padrona del mondo e poi causa del suo sanguinamento.
L'anno dopo la Dichiarazione, venne firmato il Trattato che istituiva la Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio, la CECA appunto.

“L'Europa non potrà farsi un una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto”

Vorrei dedicare questo post a tutti gli euroscettici per sentito dire. Cioè di quelli che non sanno niente su cosa sia l'Europa, le sue istituzioni, i suoi problemi, e si limitano ad imputare la causa della crisi a questo “grigio sconosciuto” locato al nord, magari con spirito un po' razzistico.
Vorrei dedicare questo post anche a chi dice che dobbiamo uscire dall'euro. E tornare alla lira. Perché poi quando gli chiedi se non c'erano mai state crisi con la lira, stanno zitti.
Vorrei dedicare questo post a chi ha fatto, sta facendo o far l'ERASMUS e non sa niente dell'Unione, di come è nato il progetto, con quali scopi. Che vuole soltanto divertirsi a spese altrui e non riconoscersi in un progetto di scambio e arricchimento unico nel suo genere.
Vorrei dedicare infine questo post a chi ragiona ancora in termini da guerra fredda, che si spaccia per europeo ed atlantista. Essere europeisti oggi vuol dire credere nella potenza normativa e civile dell'Unione, non sfociare nel solito cripto-razzismo della superiorità della pseudo comunità occidentale atlantica. Perché l'Europa, per fortuna, non è solo anglosassone.

Qualche settimana fa sul Sole24ore è apparso un articolo di Niall Ferguson,the most talented British historian of his generation”. Guarda caso l'accademico in questione è un esperto di relazioni transatlantiche ed imperialismo britannico. C'è da stupirsi quindi l'errore grossolano e banale con cui critica l'argomento ultimo di ogni difesa europeista. Cioè l'avvento di un'era di pace e benessere nel continente come non era mai accaduto. Per questo il Nobel per la pace all'UE è stato il più azzeccato degli ultimi decenni. Ed a chi lo critica, gli consiglierei di andare a vivere fuori dall'Europa, perché oggi ci siamo dimenticati cosa sia la guerra, ma se questa è stata eliminata come strumento di risoluzioni delle controversie nel nostro continente, è proprio grazie al percorso cominciato con la Dichiarazione Shuman.
Insomma, Ferguson sostiene che la pace in Europa c'è stata e continua grazie...alla NATO. Argomentazione superficiale, condita dall'invocazione del fallimento della Comunità Europea di Difesa nel 1954. In questi termini allora la pacesi sarebbe instaurata solo perché le due superpotenze avevano paura in fondo della guerra nucleare. L'Europa ha creato la pace, stringendo i vincoli economici tra paesi, lo scambio commerciale, la mobilità sociale, la stabilità economica. Senza dimenticare il fondamentale apporto che ha dato quando paesi uscenti da ex dittature (quelli mediterranei, Spagna,Grecia e Portogallo negli anni '70-'80, e quelli ex sovietici negli anni '90-2000) hanno dovuto far proprio l'acquis communautaire per entrare nella CEE-UE, adottando norme di democratizzazione e di tutela dei diritti umani, in primis l'abolizione della pena di morte.
Ferguson continua il suo discorso postulando una crescita modesta nei paesi aderenti alla CEE poi UE dagli anni '50 in poi. Ma non erano gli anni del boom quelli? E se davvero la situazione era quella, perché più di venti paesi hanno chiesto di entrare, compresa la Gran Bretagna (2 volte!)?

Essere europeisti acritici mi pare un atteggiamento privo di senso, ma non sopporto chi si definisce “contro l'Europa” od euroscettico, senza sapere la cause di nascita della crisi economica (oltre atlantico, ce ne siamo già dimenticati? La finanza selvaggia, il capitalismo neoliberista rampante....), o come funzionano le istituzioni europee. C'è poi la categoria degli oltranzisti della sovranità nazionale che tanto mi sembra anacronistica ed un po' nostalgica.

L'Europa è un sogno, una rivoluzione politica, economica e culturale unica nella Storia. Noi, inventori dello stato nazionale, che decidiamo di rinunciare alla propria sovranità nell'ordine di stabilire una comunità di pace, benessere, prosperità e valori. Un destino comune in un mondo che sarà dominato in questo secolo da potenze che, per estensione territoriale, ricchezza demografica e di risorse, sarà possibile fronteggiare solo rimanendo uniti. Perché dobbiamo mantenere la nostra voce nel mondo che abbiamo contribuito a plasmare, nel bene e nel male.

Dobbiamo essere critici sull'Europa di oggi, perché governata da una classe politica quasi totalmente incapace di fornire delle risposte adeguate alla crisi politica scaturita da quella economica. Perché il più grande dramma è stato che l'UE ha perso la legittimità popolare. Il sostegno al progetto più rivoluzionario del secolo scorso.

Cercherò di individuare qualche punto critico, ovviamente legati tra di loro.

  • La vicinanza istituzioni-cittadini. E' ovvio, 23 lingue ufficiali, 3 lingue di lavoro, tanto lavoro e poco show. Le istituzioni europee vengono normalmente percepite come lontane dai cittadini europei. E talvolta contribuiscono ben poco a colmare questa distanza. Provate per esempio ad addentrarvi nel sito dell'UE, o di qualche istituzione. Ma vi chiedo? Quante cittadinanze avete? …..almeno una? No, almeno due. Perché dal Trattato di Maastricht ogni cittadino di uno stato membro è anche cittadino europeo. Questo vuol dire che se oggi possiamo andare a vivere/lavorare/studiare in uno dei quasi 28 stati membri, ed essere trattati come i nazionali, è grazie a questo concetto giuridico. Senza dimenticare che il Trattato di Lisbona prevede la discussione al Parlamento Europeo delle leggi di iniziativa popolare, e che ogni cittadino può fare ricorso alla Corte di Giustizia contro il proprio stato se esso ha violato obblighi comunitari.
    La distanza con le istituzioni sarebbe poi facile da colmare anche un diverso atteggiamento provincialista, della nostra classe politica e soprattutto dei nostri media.
  • La creazione di un vero sistema politico europeo. E per questo intendo: costringere gli stati membri ad adottare una normativa comune, una legge elettorale unica, per il Parlamento Europeo, che è la NOSTRA voce in Europa. In secondo luogo, legittimare veramente quella sacra sede e non mandarci i politici in pensione, falliti o cantanti di dubbio gusto. Insomma, intendo eleggere gente con competenze, che conosca un minimo il diritto comunitario ed abbia a cuore tematiche inerenti. In terzo luogo, favorire lo sviluppo di un vero sistema politico europeo, in cui i partiti non siano solo raggruppamenti di quelli nazionali, ma siano come loro presenti sul territorio e con cui instaurino un rapporto dialettico e di influenza reciproca.
  • Aumentare il consenso. La legittimità delle istituzioni. Per esempio, stabilendo l'elezione diretta, che passa per il punto appena espresso sopra, del Presidente dell'Unione Europea. Allargando le competenze del Parlamento Europeo (che già ha in mano l'approvazione del bilancio) ed il suo controllo sull'operato della Commissione, non più solamente scelta dal suo Presidente, nominato dal Consiglio, cioè da 27 capi di stato e di governo.
  • Creare un soft power europeo. Sembrerà ridicolo, ma l'Europa deve imparare a tornare ad essere “cool”, attraente, attirare consensi e simpatie per una causa comune. Sul piano culturale fortunatamente è innegabile non parlare di una filosofia del diritto tutta europea, senza dimenticare un'eredità letteraria e sociale comune. Ma dobbiamo integrare ancora di più: favorire maggiormente gli scambi dei giovani, tutelare la mobilità del mercato del lavoro, trovare nuovi eroi dell'immaginario collettivo. Tutto per favorire il senso di appartenenza, appunto ad una comunità di destini.

Sull'agire internazionale dell'Europa parlerò più dettagliatamente nei prossimi giorni, ora ho voluto offrire solo qualche spunto di riflessione. Chiudo la mia digressione con una curiosità.
In questi giorni è uscito uno studio, che dimostra la prossimità genetica del popolo europeo. Dalla Norvegia a Malta, dal Portogallo alla Turchia, condividiamo tutti almeno un antenato vissuto mille anni fa. Ovviamente si tratta di “vicinanza” genetica su scala regionale, ma con esiti stupefacenti: come il fatto che i tedeschi abbiano più antenati in comune tra i polacchi che tra gli stessi tedeschi, così come i britannici con gli irlandesi...
Vi ostinante ancora a pensare di essere italiani, prima di essere europei?