12 maggio 2013

Il Pd e un problema chiamato “comunicazione”


Alessandro Bezzi

Premessa: ho studiato Scienze Politiche e al momento mi occupo di “comunicazione e social media”. Mi viene quindi abbastanza spontaneo osservare la comunicazione politica e il ruolo, sempre più decisivo , che i media hanno nell’orientare preferenze, voti ed opinioni. Oggi proverò a fare un pezzo di analisi, cercando di mantenermi oggettivo, sul problema della comunicazione “a sinistra”.


In Italia, i social media influiscono nello spostare i voti? Ancora, a mio parere, non sono così decisivi come si dice: sia per una questione anagrafica che per un diffuso analfabetismo digitale: il media per eccellenza nello spostare il voto resta la televisione, che però sempre più spesso si allaccia agli umori della rete per portare avanti dibattiti (e risparmiare un effettivo lavoro di approfondimento). L’idea che mi sono fatto, discutibilissima, è che i social contribuiscono più a costruire l’agenda politica che non a spostare i voti. 

Berlusconi non ha fatto una buona campagna sui social, ma le sue apparizioni tv – perfette da un punto di vista comunicativo – lo hanno risollevato grazie alla presa su un elettorato meno giovane e/o impegnato ma determinante per vincere. 

Renzi e Grillo, i più abili a utilizzare le risorse del web, hanno riempito piazze  sapendo benissimo che le elezioni - primarie o politiche che siano - si vincono anche con la fisicità. Pensate a Grillo, che ha letteralmente “esibito il suo corpo” traversando lo Stretto, o anche solo sgolandosi con la  teatralità di un attore navigato.

L’importanza del web è comunque incontestabile: e se forse non fa (ancora) vincere le elezioni, è decisivo nel mettere in contatto diretto la classe politica con i cittadini, favorendo quella richiesta di trasparenza che si sta (giustamente) diffondendo a macchia d’olio.  E quanto più il politico interagisce tanto più stabilisce con il cittadino una connessione emotiva: chi confonde “interazione” con “trasmissione” sposta sul web la comunicazione “a senso unico” della televisione, ribadendo inconsciamente l’enorme distanza tra politica e società civile.

Nel Pd c’è (anche) un problema di comunicazione, che credo sia una delle ragioni della non-vittoria elettorale e del disastroso valzer sulla Presidenza della Repubblica. Nella politica come nella comunicazione, la forma è sostanza: ecco quindi alcune cose su cui il Pd dovrebbe riflettere:

1)      Una diffidenza atavica verso la comunicazione, vista come la vendita di un prodotto o il tentativo di manipolare le idee del cittadino. Venti anni di berlusconismo, fatto di irrealizzabili contratti con gli italiani e annunci shock hanno contribuito a confermare quest’idea. Quello che non si è capito è che si può essere sinceri e ottimi comunicatori allo stesso tempo;

2)      La difficoltà di identificare un target ampio: la “copertura a sinistra” di SEL ha fallito, e molti voti “di sinistra” sono andati a Grillo; intanto, con l’eccezione di Renzi, gli elettori da strappare al centrodestra continuano ad essere trattati come degli idioti, per quella presunta superiorità morale di cui parlavamo la volta scorsa.

3)      La confusione programmatica e l’autoreferenzialità: radici di ogni sconfitta del centrosinistra. Se non si ha chiaro il messaggio da veicolare, nessuna campagna può funzionare. Se il messaggio è “Lo smacchiamo”, un elettore comune ha tutto il diritto di non capire cosa diavolo tu stia dicendo.

4)      La mancanza di senso critico: se la comunicazione continua ad essere intesa come trasmissione, difficile che possano emergere nuove istanze e interazioni. I comunicatori diventano dei semplici ripetitori, lesti a salutare con giubilo nuovi premier e segretari per mantenere una posizione di rendita. Nel frattempo, il partito si chiude in sé stesso, indottrinando i militanti più ingenui e/o carrieristi e allontanandosi dalle sue forze più vive.