6 giugno 2011

Perchè bisogna essere antisionisti

(premesso che parlo a titolo prettamente personale)
Uno degli argomenti più gettonati e popolari nelle discussioni fra studenti di scienze politiche, ma anche in generale fortunatamente, è la Beautiful-style questione israeliano-palestinese.
E tutti sappiamo che sono state scritte vagonate e vagonate sull'argomento, sul diritto di esistenza dello stato di Israele, sulla condizione dei palestinesi prima della dichiarazione Balfour, prima del 1948 e dopo, su tutto il conflitto, sulla tragedia umanitaria che ha colpito ambo le parti, e così via.
Non voglio né posso proporre una soluzione, perché, seppur non condivida le premesse giuridiche alla
base della nascita dello stato israeliano, come persona di buon senso non posso schierarmi totalmente dalla parte palestinese. Senza contare poi il ruolo degli Arabi e della dinastia Hashemita in particolare, che illo tempore non si fecero problemi a “svendere” il popolo (perchè sì, Golda Meir, ne esiste uno) palestinese.
Oggi voglio parlare di una tendenza pericolosa, certamente presente a quelli pratici della questione, ma latente nei nostri dibattiti, nell'opinione pubblica, nella stampa (colpa di una rothschildiana lobby ebraica, piovra potente ed eminenza grigia? Ai seguaci delle teorie cospirazioniste e frequentatori dell'hotel Bildenberg la libertà di pensare...). Mi riferisco alla corrente sionista.
Si va bene, detto così sembra un pamphlet di propaganda nazi-fascista o dell'affaire Dreyfus.
Ma ricordiamoci che il sionismo è in primis un movimento politico reso pop dalla pubblicazione del saggio “Lo Stato ebraico” da Theodor Herzl, pubblicato fra un waltz e l'altro a Vienna nel 1896, indirizzato inizialmente ad una celebre famigliuola di banchieri ebraici ed ispirato dal suddetto affaire. Da allora il sionismo è divenuto il movimento a sostegno della fondazione ex novo di uno stato israeliano (Argentina?Palestina? Lo stesso Herzl non era sicuro), una forma di nazionalismo per una nazione ed un popolo che non esistevano ancora, e -per non farsi mancare niente- una forma di baluardo contro una futura espansione musulmana (ricordiamoci che all'epoca il nonno di Osama puliva i culi ai cammelli nel deserto arabico ed il califfato ottomano era agonizzante).
Poi sono arrivati un altro austriaco dai baffi bizzarri ed oppresso da tante delusioni giovanili ed un complessato megalomane georgiano, poi la tragedia della 2GM e della Shoah, lo spirito rompiballe di Wilson con la sua autodeterminazione dei popoli (o gli americani influenzati da una lobby ebraica? C'è da scriverci un romanzo...), infine gli inglesi che abbandonano il loro impero bevendo del thé, et voilà, il 14 maggio 1948 nasce lo stato di Israele. Non voglio fare una lezione di storia e passo subito all'attualità. In Israele il sionismo è ancora il movimento politico che sostiene il suo diritto ad esistere ed agire come attore indipendente sul teatro internazionale, espressamente anti-palestinese e quando serve anche contro il diritto internazionale, pur di tutelare gli interessi israeliani. Tutti i maggiori politici del paese, da Ben Gurion, alla Meir, al ciccione di Sharon si sono autoproclamati sionisti ed in nome dei loro principi hanno agito internazionalmente con molta disinvoltura e menefreghismo dei diritti altrui (basti pensare ai casi dell'Operazione Piombo Fuso del 2006 e quello della Freedom Flottilla di Gaza del 31 maggio 2010). Questa quasi aggressività in politica estera è giustamente dettata da un contesto geopolitico totalmente sfavorevole, all'inizio aggiungerei drammaticamente, ma poi grazie all'incapacità delle nazioni arabe, agli USA, a Sadat,Mubarak, alla Giordania e pure all'Arabia Saudita, è migliorata. Ma arriviamo al succo, mi soffermo su due elementi. Il primo è che Israele da poco tempo ha posto nelle sue leggi fondamentali la nozione di “stato ebraico”, elemento che prima non c'era, e ciò ovviamente comporta innanzitutto una base giuridica a future discriminazioni, sia positive che negative, e poi rafforza l'idea che l'unico popolo sia quello di religione ebraica, precludendo così a qualsiasi soluzione “unica” del conflitto. Il secondo è la primavera araba.
Come ho già detto, il contesto geopolitico in cui si inserisce sulla cartina la stella di David non è dei più felici, ed adesso a maggior ragione: dal crollo di Mubarak e la probabile ascesa al potere dei Fratelli Musulmani in Egitto, il non crollo del dittatore nerd Assad in Siria, l'Arabia Saudita alle prese con lo Yemen ed il Bahrein, un Iraq non proprio simpatizzante, la Giordania di Abdullah II che nasconde le sue difficoltà mentre la pop queen Rania continua a strizzare l'occhiolino all'occidente (come faceva la sua vicina first lady siriana, che, ops, ora il mondo s'è ricordato essere la moglie di un rais sanguinario...), il deterioramento delle relazioni con la Turchia neo-ottomana dovuta al caso Freedom Flottilla, ed per ultimo l'isterico capo di stato iraniano, che ogni tanto, come un disco rotto, evoca la distruzione di Israele grazie ai nuovi missili – quasi una gara a chi ce l'ha più lungo negli spogliatoi dopo la partita.
Con questa situazione, più la giustamente sempreverde storia della Shoah, strumentalizzata in modo disgustoso più volte, Israele è sempre stato giustificato sul piano internazionale e da una buona parte dell'opinione pubblica. Il problema è questo: dalla SGM l'Occidente si è ben autoimposto un processo di ridefinizione che ha comportato anche l'accettazione del riconoscimento dell'orrore dell'Olocausto (senza però ricordare alla stessa stregua la persecuzione ed il genocidio di handicappati,rom, zingari,omosessuali...forse per una mera questione numerica? Bleah) ed il rifiuto delle ideologie di stampo fascista. Ma a me sembra che con il passare degli anni il sionismo sia diventato un fascismo latente ad hoc per il caso israeliano. Ed ogni critica e presa di posizione contro la politica di Israele viene spesso tacciata come antisemitismo. Qui ci sta la trappola. Confondere uno stupido razzismo (l'antisemitismo) con una critica di un movimento politico o uno stato che è attore internazionale. Eh no, allora se si vuole essere considerati uno stato, bisogna accettare che l'opinione pubblica è libera e si può essere in disaccordo con le politiche che vengono attuate. In questo modo si giustificano azioni improprie, alcune contro il diritto internazionale (ripeto, il caso Freedom Flottilla) se non casi di veri crimini di guerra. E si amputa uno degli strumenti più potenti della democrazia internazionale, la critica. Ma poi si va anche oltre, in seno alla società, bipolarizzata sull'argomento, fino a casi limite e fantomatici, come quello di Henry del Galles costretto a scusarsi alla comunità ebraica del Regno Unito solo perchè si era travestito da SS ad una festa privata, e molti altri ancora. Allora, questo sottolinea due aspetti: il positivo, è che la società è ancora sensibile -a distanza di 60-70anni- alla questione dell'Olocausto, e che gentaccia triste come il capo di stato iraniano o qualche neofascistello nel cuore non hanno molto seguito. Il negativo è la perdita di obiettività nell'analisi della questione, dal momento in cui entra in gioco il sentimento (paura,rimorso, dispiacere, disgusto) che si prova quando si pensa alla Shoah, ed a tutto il “popolo ebraico” perseguitato nella storia. Inoltre, la definizione di Israele come stato unicamente ebraico gli fornisce una valenza religiosa che è pericolosa per la sopravvivenza stessa della democrazia, ed è anche una forma larvale di stato teocratico com'è oggi l'Iran degli ayatollah. Un Israele ebraico radicale come un'Iran sciita radicale?
Io dico che bisogna essere antisionisti perchè mi sembra che oggi essere sionista vuol dire prediligere una soluzione -ammesso che ce ne sia- unilaterale e non giusta alla questione israelo-palestinese, perchè il sionismo, mischiato all'ebraismo ortodosso, è pericoloso per la vera democrazia in Israele, perchè il sionismo, come scudo contro ogni critica prevede un non-giudizio che preclude ogni punizione ad ogni azione non giusta. E trovo disgustoso giustificare guerre ed eccidi in nome del sangue di 6 milioni di persone barbaramente uccisi. Perchè poi mi sembra che quando si parli di diritto degli ebrei di avere le terre che gli servono, colonizzare le terre palestinesi, ed erigere muri di berliniana memoria, siano gli stessi discorsi che venivano pronunciati dai nazisti negli anni '30 sul diritto al popolo tedesco di espandere il suo spazio vitale, il lebensdraum, fino ai Sudeti e così via.
Dico che bisogna essere (ormai) favorevoli ad Israele, e sperare che continui ad essere un faro di democrazia in un'area dove essa ancora non è arrivata, ed impegnarsi affinché si trovi una soluzione pacificamente giusta per entrambi le parti. Perchè è l'unilateralismo cieco, mischiato ad appelli a missioni “divine”, il pericolo per la democrazia oggi.
Vi lascio con un piccolo dettaglio che mi ha colpito molto: lo stato di Israele non ha mai riconosciuto il genocidio degli armeni. Ovviamente per mantenere buoni rapporti con la Turchia. Quindi vi chiedo? Chi può stabile quale genocidio debba essere ricordato e quale no? Quale debba diventare un issue della dinamica politica,storica e culturale? E' forse il numero che conta? Od il modo, barbaro, ed inumano. La sottile linea di demarcazione è sempre difficile da stabilire. A voi la scelta.
BARBA