di Ilaria Lezzi
Ciò
che si è concluso oggi è il paradigma del decisionismo politico
italiano. Dibattiti da conclave -il Papa è stato eletto in meno
tempo- , eterne disapprovazioni e ripicche personali per poi tornare
al punto di partenza. Figuriamoci per le questioni veramente urgenti
ed importanti (con tutto il rispetto). SCEGLIERE
IL PASSATO.
Rimanere per paura di cambiare. Fa riflettere, tanto. L'immagine che
si da alla società non è certo confortante, a quella che ricorda, a
quella che è stufa, a quella che si fida ma poi scopre celati
siparietti. Una società che coraggiosamente, nonostante la nausea,
ha voluto scegliere il cambiamento cinquantacinque giorni fa. Cosa si
ripete, ancora, a questa gente che si chiama Italia? Che sì è
seduti su quelle poltrone di velluto per il cambiamento ed il
progresso dell'Italia?
Non ho niente contro Napolitano, sia chiaro ed il mio non è nemmeno un monologo politico o un'arrabbiatura tesserata. Credo sia una questione morale, quasi profetica. Ecco, profetica forse è la parola giusta. Perchè, l'ironia della sorte vuole - e forse parte di quelle camicie azzurre non ricordano- che un siparietto simile era andato in onda ventuno anni fa.
Non ho niente contro Napolitano, sia chiaro ed il mio non è nemmeno un monologo politico o un'arrabbiatura tesserata. Credo sia una questione morale, quasi profetica. Ecco, profetica forse è la parola giusta. Perchè, l'ironia della sorte vuole - e forse parte di quelle camicie azzurre non ricordano- che un siparietto simile era andato in onda ventuno anni fa.
Il
3 giugno 1992 Stefano Rodota' era il candidato alla Presidenza della
Camera e il PDS alla prima piccola vendetta contro il suo presidente
così "poco malleabile e indipendente" gli preferì Giorgio
Napolitano, capo dei miglioristi.
Il
framework
dell'allegorica scenetta era sempre lo stesso: votazioni a vuoto e
toni accesi. Le parole usate da Rodotà furono: "Questa e' una
conclusione annunciata: altri hanno deciso come andra' a finire la
vicenda. Il senso politico di quel che sta avvenendo e' sotto gli
occhi di tutti. Si tratta di una partita
con un finale annunciato da
molti giorni, e del quale ero ben consapevole. L' ho giocata per
vedere se era possibile prendere sul serio le molte cose che si
dicono sulla nuova politica. Penso di aver dato un piccolo contributo
alla "politica in pubblico" alla quale sono da sempre
affezionato. A qualcuno non e' piaciuto. Una piccola schiera di
imbecilli ha ridotto tutto a una fame di poltrone che, se fosse
esistita, molti erano pronti a saziare con ragguardevoli bocconi".
Nomi apparte, che son gli stessi - e non solo i loro due: gran parte
dei nostri attori erano già tutti attivi - sembra essere, a leggerlo
oggi, il copione di un vecchio classico, oggi rispolverato da un
regista alle prime armi. Chi sapeva come era andata a finire, spero,
che oggi abbia agito per evitare quella stessa fine.
Visto
che allora in Italia va di moda rispolverare i classici, nonostante
non ami la moda, mi pare dovere morale rispolverarne anche io uno.
Scelgo le parole di Enzo Biagi poco prima di quel 27 marzo 1994 che
avrebbe sancito la nascita della Seconda Repubblica:“Tutto dovrebbe
cambiare: però, di solito, nel nostro paese, mutano di posto i
suonatori, ma la musica resta sempre la stessa. C’è stato un tale
rimescolio di candidati, dalle vecchie liste ai nuovi simboli, con un
tripudio di conversioni da sinistra a destra e viceversa, che la via
di Damasco, se facesse parte della topografia nazionale, dovrebbe
essere gremita come Piccadilly Circus la notte di Capodanno.”
Ad
maiora!