di Francesco Pignotti
Scrive chi, ben prima
della situazione di stallo in cui ci troviamo - senza governo da quasi due mesi
-, è ostile ai governissimi, alle larghe intese, alle convergenze parallele,
alle non sfiducie, ai consociativismi deleteri, di quelli che in Italia
conosciamo fin troppo bene. Scrive chi si indignava in campagna elettorale
quando ascoltava certi leader della propria parte politica affermare
che avrebbero usato il 51% come fosse il 49%.
che avrebbero usato il 51% come fosse il 49%.
Succede però adesso che
quella (mia) parte politica che un po’ presuntuosamente si affannava a
precisare la maniera con cui avrebbe utilizzato un 51% che dava per scontato si
ritrovi ad aver preso meno del 30%. Con altre due forze quasi alla pari.
E dunque, nell’impossibilità
di rimanere ancora senza un governo, non occorre essere un genio per capire che
solamente due strade restano da percorrere: o si forma un governo o si torna a
votare.
Ed ecco che, con il M5S
arroccato su una posizione di rifiuto totale che sembra irreversibile e con i
rischi enormi connessi ad un ritorno alle urne a regole del gioco invariate, si
è fatta prepotentemente strada negli ultimi giorni l’ipotesi di un governo
Pd-Pdl.
Le trattative tra le
due parti sono serratissime, non sappiamo ancora se questo matrimonio s’ha da
fare, e non sappiamo di che tipo di unione eventualmente si tratterebbe.
Matrimonio con governo formato da esponenti di entrambe le parti? Convivenza
dettata da una “non sfiducia” da parte del Pdl ad un governo di minoranza
targato Bersani? Governo del presidente? Non è dato sapere, ancora. Tutto, lo
sappiamo, ruota attorno al nodo centrale dell’elezione del prossimo Presidente
della Repubblica.
Intendo qui solamente
chiedermi quali siano le ragioni che spingono anche chi, come me, è convinto
oppositore degli “inciuci” parlamentari a prendere seriamente in considerazione
l’ipotesi di un’intesa tra il centrosinistra e, udite udite, Silvio Berlusconi,
il nemico giurato della sinistra, il giaguaro che solo due mesi fa è stato il
bersaglio della campagna smacchiatrice di Bersani e i suoi.
Ovvero: a quasi 40 anni dal governo Andreotti di compromesso storico, com’è che siamo arrivati a questo punto, a questo compromesso che di storico ha ben poco?
Se ci penso, non posso
che darmi le seguenti 3 risposte.
Due riguardano le
regole del gioco, la terza invece l’offerta politica.
Il bello è che la
seconda di queste concause può neutralizzare o moltiplicare gli effetti
negativi della prima – e nel nostro caso li moltiplica a dismisura – e lo
stesso vale per la terza nei confronti degli effetti dirompenti della seconda –
ma anche in questo caso li moltiplica.
Insomma, un disastro.
Vediamo.
1.
La prima causa
dell’attuale, grottesca situazione va ricercata direttamente nella nostra
Costituzione. La tanto osannata ed incensata - giustamente se in relazione alla
prima parte - Costituzione italiana, ci consegna però, nella seconda parte, un
sistema non troppo funzionale. Basti pensare al bicameralismo perfetto o
ridondante, caso unico nel panorama mondiale, che per di più prevede, al di là
di ogni possibile legge elettorale, un corpo elettorale diverso, dal momento
che al Senato, diversamente dalla Camera, non è previsto il suffragio
universale (solo elettori over 25). E’ evidente come due camere elette in
maniera differente, ma che devono entrambi attribuire la fiducia al governo e
votare poi ogni singolo provvedimento potenzialmente all’infinito finché non lo
approvano in maniera identica, non possano che dar vita ad un parlamentarismo
poco in grado di decidere davvero. E, al limite, a situazioni come quella
attuale.
Questo assetto è frutto
di grandi compromessi realizzati tra forze politiche contrapposte e
all’indomani di un ventennio in cui il concetto di decisionismo era stato, per
usare un eufemismo, travisato. Ma oggi le condizioni sono mutate. Bisognerebbe
avere il coraggio e la volontà di cambiare quella parte della Costituzione.
2.
La seconda causa
risiede nella legge elettorale con cui siamo andati al voto oramai due mesi fa.
Ne abbiamo parlato più
e più volte su Briciole Politiche, da più punti di osservazione (vedi qui e qui).
Ma basterà
sottolineare come una legge che assicura una maggioranza in una camera ma non
nell’altra, visto quello che si appena detto relativamente al bicameralismo
perfetto, è una legge dannosa per la stabilità parlamentare e governativa.
Insomma, 1 + 2 è già un
bel problema: all’irrazionalità del bicameralismo perfetto si aggiunge infatti una
legge che diversifica l’esito elettorale per le due camere.
3.
Il tutto si conclude in
bellezza.
Cosa può infatti
rimediare alla circostanza di un sistema parlamentare a bicameralismo perfetto
con due differenti sistemi elettorali se non un’adeguata offerta politica?
E qui il problema si fa
dramma, tragedia. L’offerta politica che si è presentata agli elettori il 24
Febbraio la conosciamo bene. Per comprendere come questa – e qui mi riferisco
ovviamente alla mia parte politica di cui sopra – sia stata totalmente
inadeguata al momento basti considerare questi dati relativi alle elezioni di
due mesi fa. Attenzione, leggeteli bene:
PDL e Lega, vincitori
nel 2008, hanno perso insieme 7.900.000 voti. Sette milioni e novecentomila
voti (sì, vanno bene i Fratelli d’Italia e via dicendo, ma il dato è quello).
Cos’ha fatto chi stava
all’opposizione? Avrà guadagnato anche solo qualcuno di quegli oltre 7 milioni
di voti, è ovvio.
E invece no. Perché non
solo non ha guadagnato niente rispetto al 2008, ha pure perso 3.400.000 voti.
Ripeto, tre milioni e quattrocentomila voti.
Nel frattempo è nato un
movimento che da zero ne ha presi 8.700.000. Dettagli. Ma fino al giorno delle
elezioni sembrava un dettaglio.
Ed eccoci così arrivati
ad oggi. Eccoci a dover tifare un governo “di larghe intese” se vogliamo un
governo e a dover rischiare un esito potenzialmente disastroso se vogliamo le
urne.
Quando si dice
l’imbarazzo della scelta…