di Alessandro Bezzi
Sono
stato via due giorni: giusto il tempo di assistere al suicidio di un partito
che rischia di affossare un intero Paese. Ho seguito in tempo reale l'elezione,
senza però avere l'occasione di ragionarne con voi, e voglio provarci stasera,
con un approccio più "di pancia”.
Ci eravamo lasciati con la riflessione
su Rodotà, nella quale ritenevo che non appoggiarlo avrebbe significato un
suicidio politico per Bersani e i suoi. Lo scrivevo da appassionato di vicende
politiche, e velatamente anche da cittadino speranzoso: con uno sguardo ben più
distaccato di quanto riesca ad avere oggi. L’elezione di Rodotà sarebbe stato
un bellissimo segnale di rinnovamento e attenzione ai problemi reali, in un
Paese che sta affondando: già, perché mentre la nipote di Mussolini esibisce
magliette su Prodi, le aziende chiudono, gli operai sono in cassa integrazione
e i laureati sono precari sottopagati quando va bene. Invece, niente da fare.
Il Pd ha preferito un pessimo
candidato suo (Marini) piuttosto che uno ottimo altrui (Rodotà), convergendo
pericolosamente con quel Berlusconi che da 20 anni combatte (almeno a parole).
Dopo il prevedibile fallimento di questo tentativo, sono bastate le lotte
intestine a bruciare anche la candidatura di Prodi (per prassi, solitamente non si candida un leader partitico di primo piano, di quelli che “dividono” e che hanno magari guidato un partito o un governo; ma anche un comitato di dieci saggi o la rielezione del Presidente in carica per prassi non sarebbero previsti, quindi è un problema minore...):
una volta completata la Little Bighorn del centrosinistra, si è profilata la strada più reazionaria possibile.
Rieleggere Napolitano, ignorando in un colpo solo una candidatura seria come
Rodotà, una consolidata prassi istituzionale e 20 anni di accuse con Berlusconi.
Con il dente avvelenato, alcune riflessioni
a caldo:
- A perdere credibilità è l’intero
sistema istituzionale: rieleggere il Presidente in carica con un incondizionato
appoggio bipartisan: il migliore specchio di una classe politica
autoreferenziale e abilissima nel superare ogni shock esterno, compreso il voto
di consultazioni politiche e referendum.
Puntualmente ignorati.
-
Il Pd ha criticato per un mese il comportamento degli eletti del M5S:
ora incapaci di votare una linea condivisa, ora costretti dal padre padrone
Grillo. Al momento di votare, ecco
uscire dalle loro fila correnti e franchi
tiratori preoccupati da gelosie risalenti alla Prima Repubblica. Mentre si
grida di voler entrare nella Terza. Può esser sufficiente cambiare la
segreteria e il leader?
-
Tra i 100 deputati che hanno appoggiato Marini e/o “tradito” Prodi,
molti sono stati eletti tramite le primarie,
vero mito fondante del Pd. La sommossa dell’elettorato Pd dimostra che c’è un
evidente scollamento, e che molti eletti sono vassalli di qualche capo corrente
più che rappresentanti dei cittadini. Da non elettore Pd, ho da tempo dubbi sulla
loro reale utilità, oltre a quella di dare legittimità e numero alle correnti
interne.
- Il Napolitano bis è un
risultato che non tiene conto della volontà popolare, quanto della voglia di
sopravvivere di forze partitiche delegittimate e screditate. Che pur sapendo di
perdere voti e credibilità, si preoccupano semplicemente di stare in Parlamento
il più possibile, con una lungimiranza indegna per forze politiche “responsabili”.
Ma in questo Parlamento – e prima ancora in questo Paese – non può essere considerato
come un garante super partes.
- Accanto al M5S ci sono molti altri soggetti indignati per quello che è successo in questi tre
giorni: attivisti per i beni comuni; semplici cittadini; terzo settore; tanti giovani di Sel e Pd, la parte più sana
- e ingenua – di questi partiti. Tutti
questi soggetti ora si allontaneranno dalla politica, convinti che sia inutile
tentare di cambiare le carte in tavola. Anche la colpa di aver disilluso i più
giovani, allontanando la speranza che questo Paese possa cambiare, dovrà essere
ricordata ai responsabili
di questi tre giorni.