di Francesco Pignotti
Ora basta, siamo stanchi di un
centrosinistra incapace di proporsi come una valida alternativa in un quadro di democrazia maggioritaria basata
sull’alternanza.
Siamo stanchi di una forza
politica che si rifiuta di provare ad essere maggioranza nel paese, che si
nasconde, che ha paura, che si rinchiude in se stessa e si trincera dietro una
presunta purezza identitaria che non
ha più senso di essere
propagandata e difesa in un mondo adulto e oramai
affrancatosi da rigide contrapposizioni ideologiche.
Siamo stanchi di una classe
politica che si rifiuta di provare a parlare ad un maggior numero di elettori
rispetto a quelli da cui è certa di ottenere un “voto di appartenenza”,
un’appartenenza che viene malinterpretata come sinonimo di superiorità morale rispetto a chi non ha sempre votato in modo da
riconfermarla. Come se i voti di chi non ci aveva votato in precedenza
contassero di meno. Io che pensavo che si dovesse conquistare proprio quelli
per vincere.
Perché già, siamo stanchi di
quegli esponenti politici che non hanno ancora capito come funzioni la democrazia. Che non hanno compreso che democrazia
non significa recarsi nelle urne per uscirne con indosso sempre e comunque la
stessa casacca, quella che solo gli incorrotti e fedeli sostenitori possono
indossare, salvo poi aver inevitabilmente bisogno di concordare la partita a
tavolino con i giocatori della squadra avversaria in Parlamento.
Siamo stanchi, infatti, di una
dirigenza di partito incline per convinzione e socializzazione politica al compromesso consociativo, a quel
consociativismo deleterio che da sempre è il male del paese e del centrosinistra
italiano, incapace di proporsi come potenziale alternativa e vincitrice delle
elezioni e che la costringe da sempre a rifugiarsi masochisticamente nelle
grinfie parlamentari del nemico giurato, sia esso democristiano o
berlusconiano.
Siamo stanchi insomma del complesso di inferiorità basato sul complesso
di superiorità. Il centrosinistra non è moralmente superiore al centrodestra
ed il centrosinistra può vincere e governare, come fa il centrodestra da
sempre: le campagne elettorali non servono per ribadire a noi stessi quanto
siamo belli e diversi da chi sbaglia, ma per convincere il cittadino elettore
che noi potremmo fare meglio dei nostri avversari. Perché noi non vogliamo
essere giudicati migliori degli altri, noi vogliamo vincere. Può apparire
paradossale, ma se non smettiamo la nostra di veste di superiorità morale, se
non cominciamo a sporcarci le mani, non ci convinceremo mai che possiamo
farcela. La purezza ideologica e la superiorità morale sono comodi quanto
inaccettabili alibi per restare immobili e lavarsene pilatescamente le mani.
Sono solamente alibi. Perché in realtà abbiamo paura, di prenderci delle
responsabilità, e di farlo da soli.
E’ in questo senso che noi siamo
stanchi del premio della critica,
noi vogliamo vincere le elezioni. E governare il paese. Da soli.
Ed è per questo che siamo stanchi
di campagne elettorali
incomprensibilmente giocate solo sulla demonizzazione di un avversario che poi
sarà il nostro miglior amico di debito pubblico.
Perché siamo stanchi del debito pubblico che cancella il nostro
futuro.
Siamo stanchi di rappresentanti
che non hanno il coraggio di proporre in modo chiaro una visione del futuro,
che non sono più in grado di raccontarci che la nostra sarà una bella storia,
solo perché è venuta a mancare loro quella musa ispiratrice chiamata ideologia.
Siamo stanchi di chi ci ripropone
continuamente il passato credendo di renderlo seducente ed adeguato con una
semplice opera di restauro. Noi adesso vogliamo
il futuro.
E siamo stanchi di chi continua a
riproporci il passato solamente perché vuole riproporre se stesso. E non tanto
– o non solo – perché interessato a benefici materiali, ma anche – e
soprattutto – perché non può, non vuole o non riesce ad ammettere il proprio
fallimento.
Perché noi siamo stanchi dei fallimenti. Di elezioni perse (ok, diciamo vinte male...) con 10 o
15 punti percentuali di vantaggio sul nostro avversario. Di campagne elettorali
disastrose. Di attentati kamikaze ai nostri governi. Di divisioni, di scissioni,
di lotte intestine. Il centrodestra è unito. Non mi interessa ora a che
prezzo lo è. Voglio solo che lo sia anche il centrosinistra.
Perché siamo stanchi di apparati
di partito così resistenti al cambiamento che qualsiasi progetto innovativo e
lungimirante viene rapidamente distrutto.
Siamo stanchi di vocazioni maggioritarie che finiscono
per trasformarsi nel giro di un lustro in larghe intese parlamentari.
Siamo stanchi di un partito
ostaggio del suo apparato, che
preferisce suicidarsi pur di non aprirsi e parlare ai cittadini, a tutti i
cittadini, non solamente ai propri iscritti o ai militanti di lungo corso.
Siamo stanchi dei congressi di
cui ci sfuggono le dinamiche, delle primarie
chiuse e “congressualizzate”, delle gioiose macchine da guerra. E pure
delle gioiose smacchiatrici da guerra.
Siamo anche stanchi di leader
poco capaci di entusiasmarci, di appassionarci, di conquistarci. Di leader poco
coraggiosi, poco comunicativi, che non ci emozionano e non ci trasmettono
niente. Non dobbiamo avere paura della personalizzazione della politica. Perché
se è vero che dietro l’uomo al comando c’è il collettivo, beh, io qui non vedo
né un comandante né una squadra. E questo dovrebbe farci riflettere.
Siamo stanchi poi di una proposta politica poco coraggiosa,
che si rivolge ai soliti noti, che garantisce tutele solamente a chi già ce le
ha. Una proposta che non si rivolge a chi invece sconta tutti i giorni sulla
propria pelle le difficoltà di una vita che rischia di diventare sempre più
solo un’esistenza.
Siamo stanchi di un centrosinistra
che non abbia il coraggio di riconsiderare
il concetto di uguaglianza, nel terzo millennio. Uguaglianza significa
stesse opportunità per tutti e premio al
merito, senza demonizzare chi, partendo dallo stesso livello, riesce ad
arrivare più avanti. Se travisiamo il significato del concetto di uguaglianza,
richiamo di tarpare le ali al merito. E con esso allo sviluppo, alla crescita,
al benessere, alla felicità.
Già, perché noi vogliamo un centrosinistra felice. Che ci renda felici.