di Alessandro Bezzi
E adesso? Con l’appoggio bipartisan a Napolitano e il governo “di
larghe intese”, il Pd è riuscito a legittimare chi ne criticava la sostanziale
convergenza e le affinità con il centrodestra. Ma le decisioni delle ultime due
settimane impongono anche di guardare con diversi occhi al passato: si voleva
davvero offrire un modello di società diverso dal berlusconismo, che oramai ha
egemonizzato culturalmente il Paese, o si trattava solo di portare avanti un
teatrino?
L’antiberlusconismo è stato l’unico vero collante degli ultimi 20
anni di centrosinistra, anche per la facilità del messaggio da veicolare e la
possibilità di nascondere dietro questa bandiera debolezze culturali prima
ancora che programmatiche. Abbiamo creduto di avere una sinistra moderna semplicemente
perché avevamo una destra feudale, capace di aggregare intorno alla splendida
macchina comunicativa del capo interessi particolari che poco avevano a che
fare con un progetto politico preciso.
Assieme all’attività legislativa berlusconiana, anche la critica di sinistra si è
fatta sempre più ad personam: più attenta ai comportamenti dell’uomo che ad
altrettanto discutibili decisioni politiche. Brava ad indignarsi, ma più per i
bunga bunga che per le riforme di scuola, lavoro, università. Mentre la sudditanza culturale si faceva sempre
più evidente, la presunta superiorità
morale di leader, stampa ed elettorato di centrosinistra ha fatto il resto:
si è diffusa la convinzione di essere l’ “Italia
giusta” (non a caso, slogan delle ultime, fallimentari, politiche) e ci si
è arroccati su un antiberlusconismo utilissimo a nascondere le debolezze
programmatiche.
Mentre Berlusconi agitava lo
spauracchio dei comunisti (…), la paura di un governo con Lega ed ex MSI compattava
un centrosinistra diviso su tutto il resto; la consapevolezza di essere un
Paese di centrodestra imponeva una rincorsa all’elettore mediano, che spostava
progressivamente l’asse politico verso il centro regalando il proprio elettorato a
formazioni sempre più scalcinate, all’astensionismo o a Grillo. Non è un caso
che le Quirinarie del Movimento 5 Stelle abbiano indicato solo nomi “di sinistra”, che ne sintetizzano
le varie anime in tutti i suoi aspetti (impegno civico; attenzione alla cultura
e ai beni comuni; rispetto della Costituzione e della legalità, etc.) meglio di
quanto è riuscito a fare il Pd. E’ evidente che molti “grillini della prima
ora” provengano quindi da una cultura politica “di sinistra”, e che un
centrosinistra meno impaurito avrebbe potuto farli diventare una risorsa per sé
e per l’Italia. Così come avrebbe potuto non perdere milioni di elettori: il
successo del M5S non è una causa della crisi dei partiti, ma un effetto.
Proprio in queste ore, è in corso
il totoministri per il governo Letta: ed ancora una volta, i programmi sono
vaghi. Il centrosinistra sa che per il suo popolo è indigeribile vedere Schifani
ministro (linko l’ottimo articolo di Gilioli) anche perché l’elettorato oramai
è più attento ai volti che non ai contenuti, per quel fenomeno di personalizzazione della politica che ha
effetti discutibili: leaderismo, ma anche attenzione ai gossip più che ai
contenuti, alle Ruby e alle Minetti più che alle finanziarie.
Autoreferenzialità; incapacità di
ascoltare la base; enormi carenze comunicative; debolezza programmatica;
cooptazione; totale incapacità di rinnovamento. Se non affronteranno questi
problemi, i partiti classici sono destinati a conoscere nuove sconfitte. Giustamente.