di Matteo Figoli
1.
È il 2008, il governo Prodi
fallisce e muore di una morte annunciata. Il neonato PD decide di imparare la
lezione e il suo leader si esprime con una decisione ben poco consueta nello
stile della sinistra italiana: mai più ricatti dai partitini, il PD sarà un
partito a vocazione maggioritaria. Leggero nella struttura, innovatore nelle
istanze e soprattutto in corsa “da solo” per le elezioni.
Oh, finalmente! (a prescindere
dai giudizi di valore, si trattava di una strategia degna, con una
prospettiva per molti entusiasmante, perché volta a guardare lontano).
prospettiva per molti entusiasmante, perché volta a guardare lontano).
Passano pochi mesi e Veltroni
tradisce: si (auto)convince di poter raggiungere l'inarrivabile Berlusconi, e
nega la cazzutaggine della sua strategia. Dopo aver negato ai socialisti
l'apparentamento, dopo aver costretto i Radicali ad entrare nelle liste del PD,
decide di allearsi con un partitino dato al 4,5 – 5%, l'Italia dei Valori, per
l'interesse del brevissimo termine, elezioni comunque impossibili da vincere.
Nel trambusto post-elettorale,
quel “tradimento” di strategia sembra non essere annoverato tra le cause della
sconfitta, forse giustamente. Però quello scendere a compromessi così facilone
non può che essere considerato un sintomo di quel castello di carte che è
l'autostima di Veltroni, la sua paura, la sua incapacità di credere in
qualcosa, in sé stesso (qui
elementi sparsi della sua fragile psicologia). La sua prudenza lo ha reso un
leader debole, facile da cacciare e così è stato appena un anno dopo, con il
progetto del partito leggero a vocazione maggioritaria in malora.
2.
È il dicembre 2012, l'altro ieri
praticamente.
Renzi partecipa alle primarie del
Centrosinistra e perde, Berlusconi annulla le primarie del Centrodestra e
scende in campo (in quest'ordine anche logico). Con varie spinte, il premier
Monti decide di “salire in politica”. La sua figura è rimasta forte e
autorevole, nonostante l'anno di esposizione alle critiche per la
responsabilità di governo.
Il suo è un messaggio di
affidabilità, per il superamento della vecchia e inconcludente politica con l’entrata
in una stagione europea fatta di riformismo e serietà.
Un messaggio chiaro, magari non
in grado di fare breccia sulla maggioranza dell'elettorato, ma sicuramente in grado
di attirare quei numeri necessari per la decisività nel nuovo parlamento. E poi
chissà, pure la possibilità di porre le basi di un centrodestra finalmente
europeo e liberale, in grado di assorbire alcuni elettori del PDL, una volta
che Berlusconi morirà.
Un bel progettino.
Ma Monti che fa? Prudente, decide
di allearsi con il già presente “Terzo Polo”, con Fini e Casini.
Fini e Casini.
“Il superamento della vecchia
politica inconcludente” con Fini e Casini. “Riformismo e serietà” con Fini e
Casini. Giù di trattative sui simboli, sulle candidature, su come presentarsi
alla Camera, su come presentarsi al Senato (etc...). Insomma, un casino.
Non si può dimostrare nulla, ma è
ragionevole pensare che senza la palla al piede di Fli e Udc le prestazioni
elettorali della Lista Monti sarebbero state più significative: forse ora in Parlamento
conterebbe qualcosa, forse potremmo sognare la nascita di una destra normale.
La paura e la prudenza hanno poi
fatto snaturare la stessa immagine di Monti davanti agli italiani.
Il professore (un professorone),
un uomo freddo ma affidabile, durante la campagna elettorale è stato spinto a
fare le faccine su facebook, a fare gli spot all'americana, ad abbracciare un
cagnolino e a chiamarlo Empatia (da ragazzino chiamai il gatto di mia zia
“Buddha” per cercare di convertirla dal suo fanatismo cattolico, ebbe lo stesso
risultato).
In definitiva, è chiaro che con i
“se” si rischia di fare inutili speculazioni intellettuali, ma non credo sia
questo il caso. Credo che in questa situazione sia non solo legittimo, ma
doveroso chiedersi “cosa sarebbe successo SE...”. E non per mangiarsi le mani,
ma per riflettere, per imparare.
C'è da capire che il contesto non
è mai stato così permeabile e aperto ai cambiamenti, e il successo di Grillo ne
è la riprova. Il coraggio e l’avere poco da perdere sono premiati.
Direbbe Jim Morrison: “tutto è in
frantumi e danza”. Beh, qui serve qualcuno che sappia danzare e soprattutto
qualcuno che non abbia paura di farlo, che prenda in mano le redini del ballo e
voglia dare un'armonia. Perché coi ballerini timorosi e impacciati finisce per
non ballare nessuno.