di Filippo Barbagli
Extra omnes. Fuori tutti. E non sono i grillini a gridarlo, ma è la formula secolare che qualche ora fa ha sancito l'inizio del conclave, che eleggerà il nuovo pontefice dopo il dimissionario Benedetto XVI. La dottrina vuole che sia lo spirito santo a "guidare" i principi elettori di Santa Romana Chiesa nel momento della votazione. Ma oggi mi piacerebbe considerare più delle motivazioni di politica estera e strategia, alla base delle scelte che condurranno i cardinali vegliati dai nudi dipinti da Michelangelo.
Extra omnes. Fuori tutti. E non sono i grillini a gridarlo, ma è la formula secolare che qualche ora fa ha sancito l'inizio del conclave, che eleggerà il nuovo pontefice dopo il dimissionario Benedetto XVI. La dottrina vuole che sia lo spirito santo a "guidare" i principi elettori di Santa Romana Chiesa nel momento della votazione. Ma oggi mi piacerebbe considerare più delle motivazioni di politica estera e strategia, alla base delle scelte che condurranno i cardinali vegliati dai nudi dipinti da Michelangelo.
E non lo scrivo per nobilitare la disciplina che
studio, semplicemente perché credo che sia una chiave di lettura
indicativa, anche se non esaustiva. Lungi da
me arrivare a dire -come spesso è successo nella storiografia e pseudo tale in Italia e non- che l'elezione di un nuovo pontefice possa causare sconvolgimenti geopolitici di portata epica. Insomma, se la guerra fredda è finita non è stato tanto grazie all'arrivo di Giovanni Paolo II, il papa polacco, sul trono del Vaticano, ma perché era una battaglia persa strutturalmente in partenza e per altri motivi su cui non mi dilungherò. Ma a noi italiani piace pensare questo, perché in fin dei conti consideriamo il papa un po' come “cosa nostra”, una proiezione dell'Italia e della potenza della sua cultura cattolica nel mondo.
me arrivare a dire -come spesso è successo nella storiografia e pseudo tale in Italia e non- che l'elezione di un nuovo pontefice possa causare sconvolgimenti geopolitici di portata epica. Insomma, se la guerra fredda è finita non è stato tanto grazie all'arrivo di Giovanni Paolo II, il papa polacco, sul trono del Vaticano, ma perché era una battaglia persa strutturalmente in partenza e per altri motivi su cui non mi dilungherò. Ma a noi italiani piace pensare questo, perché in fin dei conti consideriamo il papa un po' come “cosa nostra”, una proiezione dell'Italia e della potenza della sua cultura cattolica nel mondo.
Come
ci illudiamo che possa essere eletto ancora un italiano come
pontefice, in questo preciso momento.
Se
i cardinali elettori dovessero ragionare esclusivamente in termini di
politica estera infatti non eleggerebbero mai un papa italiano per
alcune semplici motivazioni. La prima è data dal fatto che gli
italiani rappresentano una maggioranza spropositata rispetto alla
reale popolazione cattolica del paese. Ragà, damose una svegliata:
il continente cattolico è l'America (ed il suo subcontinente
latino), non l'Europa. Gli italiani hanno regnato per secoli dal
trono di san Pietro ed ancora oggi occupano alcune tra le cariche più
importanti nella Curia Romana. La quale è sì, essenzialmente, un
organo in cui si parla italiano, ma il suo grado di
internazionalizzazione è cresciuto sempre di più. Insomma, il
“tempo degli italiani” è finito, la Chiesa, nel momento in cui
comprende che deve realmente porsi nel XXI secolo, deve guardare
oltre.
La
fronda contro la lobby italiana è poi giustificata dai recenti
scandali (Vatileaks&co) e lotte di potere che hanno investito la
Curia negli ultimi anni. Nell'occhio del ciclone troviamo infatti il
capo della Segreteria di Stato (la longa manus internazionale della
chiesa cattolica), il cardinale Tarcisio Bertone. Un'operazione di
chirurgia, anche estetica, volta a “de-italianizzare” la Chiesa,
aiuterebbe forse a creare un'immagine più trasparente ed onesta
della Curia.
Parlavo
di una maggioranza spropositata dei cardinali italiani in rapporto
alla popolazione. Quindi, mi rivolgo anche agli studiosi di elezioni,
è possibile che si crei un fronte maggioritario tra gli elettori
extraeuropei ma anche del Vecchio Continente, per scegliere un
pontefice rappresentativo di una fetta della cattolicità più
consistente.
In
America vivono centinaia di milioni di cattolici, l'uniformità
religiosa parte da San Francisco fino allo Stretto di Magellano, con
alcune eccezioni, per lo più caraibiche. La Chiesa in quei paesi ha
subito in forma minore il trauma della secolarizzazione, e mantiene
un'influenza ed un peso ancora veramente notevoli, più che in
Europa. Sia per le questioni sociali, sia per l'educazione, o per
problemi come la povertà, il clero cattolico è un pilastro
fondamentale della società. Un papa (latino)americano, o comunque di
quella provenienza geografica, sarebbe l'espressione di una Chiesa
consapevole della propria forza oltreoceano, nuova e rinnovata,
capace di rappresentare su una scala maggiore la propria cattolicità.
Senza dimenticare che donerebbe vigore comunque ad un'istituzione che
in quel continente si trova ad affrontare sfide come la questione
della pedofilia e la crescita delle chiese evangeliche, soprattutto
nel suo fiore all'occhiello, il Brasile.
Ragionando
in termini di politica estera, i cardinali ottimizzerebbero quindi il
capitale cattolico offerto dal continente americano, scegliendo un
cardinale da lì proveniente. Perché se la Santa Sede è
un'istituzione religiosa, la Città del Vaticano ed il suo monarca,
sono una potenza geopolitica internazionale importante, a discapito
della dimensione. Perché il papa rimane comunque per milioni di
persone una guida spirituale, e le posizioni della Chiesa cattolica
su certe tematiche possono benissimo influenzare processi politici in
decine di stati, anche tra quelli più importanti. Ecco perché
tutti, atei e credenti, dovremmo fare attenzione a quello che avviene
nella Cappella Sistina.
Inoltre
dalla Curia Romana dipendono formalmente tutte le articolazioni del
clero cattolico nel mondo, il quale in certi paesi ha un peso sociale
fondamentale. Tutto questo per ribadire che l'alta politica passa
anche per i corridoi dei palazzi vaticani, che piaccia o no.
Un
buon stratega, pratico di un minimo di strategia e politica
internazionale, guarderebbe quindi all'America come un bacino dove
pescare il futuro pontefice. Anche perché stiamo continuando a
parlare del “più europeo” dei continenti extraeuropei. Il trauma
del passaggio dello scettro da una sponda all'altra dell'Atlantico,
sarebbe quindi più soft. Infine, sarebbe la naturale evoluzione di
un processo che ha visto, storicamente, lo spostamento del centro di
emanazione del potere dall'Europa al resto del mondo. E' giunta anche
l'ora che ciò accada nell'istituzione più conservatrice ed
ossificata del mondo.
Leggendo,
sempre in un'ottica “internazionalista”, i conclavi precedenti,
possiamo notare come i cardinali seppero individuare dei punti caldi
della politica internazionale come origine del proprio papa,
acquisendo così un raggio d'azione politica e simbolica più ampio.
Pescando un pontefice oltre la cortina di ferro nel 1978, si diedero
un potere geopolitico importantissimo, scegliendo un pastore tedesco
nel 2005, incoronarono un teologo pronto a fronteggiare la crisi del
relativismo, un tedesco interessato ad influenzare pesantemente la
politica di un'Europa dinamica ma in crisi d'identità.
Personalmente
non credo che i cardinali siano così coraggiosi da scegliere un papa
nero. Per motivi simbolici e politici soprattutto, visto che la lobby
africana nel collegio cardinalizio non sembra essere ancora così
potente. Ma sarebbe un gesto machiavellico quello di affidare il
trono vaticano anche ad un asiatico, cioè porre alla guida della
cattolicità un uomo proveniente dal continente dove si svolge la
sfida del secolo, quella della Cina. Sarebbe un coup de main
da celebrare, cercare di penetrare la più grande e secolare
dittatura del mondo. Teniamone conto, nei prossimi anni. Forse è
ancora troppo presto, per una mossa così coraggiosa ed impavida.
Se
è vero che chi entra in conclave da papa ne esce cardinale, gli
italiani risulterebbero appunto perdenti. Quindi considerando le
motivazioni che ho appena espresso, aggiungendo altre come la ricerca
di un papa “giovane” e “pulito”, che abbia le forze fisiche
ed intellettuali di traghettare la Chiesa cattolica nei prossimi
difficili anni, mi azzardo a fare due nomi.
Marc
Oullet, cardinale Oullet, canadese ma del Quebec, il più europeo
degli americani, “solo” 68 anni e fine intellettuale. Francofono,
e la Francia si appresta ad approvare i matrimoni gay.
Timothy
Dolan, cardinale statunitense. Il sogno degli USA di conquistare
anche San Pietro sarebbe realtà. E darebbe forza all'istituzione
rovinata dagli scandali della pedofilia e dalla lotta alla
laicizzazione del paese. Un papa da furor di popolo, visto le sue
azioni “anti-privilegiati”. C'è poi anche il bostoniano
O'Malley, che gira in bicicletta.
Odilio
Scherer, brasiliano. L'America Latina in tutta la sua forza, e pure
con un cognome tedesco. Un passaggio di consegne meno traumatico
insomma. E per il Brasile, l'ennesima conferma della sua egemonia in
quel continente.
Vedremo.