Alessandro Bezzi
Premessa: questo non è un pezzo
“classico” su elezioni, comunicazione politica o equilibri di partito.
Semplicemente, vuole essere uno spunto per parlare della decisione del sindaco
di Firenze di chiudere
Ponte Vecchio sabato. L’auspicio è che ne nasca una discussione più
approfondita sul rapporto di Firenze con la sua storia e su quali possano
essere i limiti di un’amministrazione comunale senz’altro forte e decisionista
come quella di Renzi.
Sabato 29 giugno Ponte Vecchio è
stato chiuso alla circolazione ed “affittato” ad una associazione privata per
oltre 100mila euro. Una cifra importante per il bilancio comunale, specie in tempi
di spending review e fiscal compact: ma può
bastare la convenienza economica come
criterio decisionale?
A mio modestissimo parere, no.
Firenze è un
patrimonio di tutti: dell’umanità e di noi fiorentini, che abbiamo la
fortuna (e la sfortuna) di viverla e abitarla. Il suo patrimonio artistico,
così come la vista di un valle montana o di un promontorio marino, dovrebbe
essere fruibile a tutti: e se già ora alcune zone sono di fatto “sottratte”
alla collettività –ridotte a lussuose boutique a cielo aperto – questo non
significa che il processo debba coinvolgere altri spazi pubblici.
Ponte Vecchio è uno dei simboli
di Firenze: è un ponte, e già per
questo idealmente dovrebbe rappresentare apertura, confronto, dialogo; è un
pezzo di storia, è il corridoio vasariano che collega gli Uffizi con Palazzo
Pitti; Palazzo Vecchio con l’Oltrarno; i Medici con i partigiani che lo
attraversavano durante la II Guerra Mondiale. È, insomma, parte integrante della nostra
memoria e un simbolo della nostra città.
Affittarlo
e vietare la circolazione significa dimenticarsi tutto questo; significa
mettere in vendita (a tempo
determinato, come tutto di questi tempi) parte del nostro tempo e della
nostra storia a chi può permetterselo. Significa vietare il “diritto
al paesaggio” e impedire, in un sabato sera d’estate, di gustarsi uno dei
tramonti più suggestivi che possano esistere. E se io potrò vederlo un altro
giorno – cosa che non placa il mio disappunto – magari qualcun altro si è perso
per sempre questa possibilità.
Non ci
sono più ragioni per abitare il centro, complice un decentramento dei luoghi
culturali (università) e delle attività produttive, che ha contribuito a
rendere il centro un asettica vetrina per i turisti. Non rischia di diventare
una vetrina per un turismo usa e getta o un salotto buono per organizzare
incontri “aperti” (es. Repubblica delle Idee) ma anche meeting privati in spazi pubblici?
Firenze è condannata dalla sua
bellezza: un passato così
ingombrante spesso impedisce di guardare al futuro con il giusto coraggio. È
giusto che la città ripensi il suo rapporto con la sua storia, di modo da non
esser schiava del suo passato: ma per farlo i suoi spazi – a cominciare dalle
piazze e dai ponti - devono tornare ad essere vivi, pubblici ed abitati.
Facciamo attenzione ad affittare le nostre bellezze, come una locandiera
fa con le sue stanze: altrimenti Firenze diventerà il fondale di un vecchio
spettacolo. Con ingresso riservato.
Grazie a Marco, Tommaso,
Federico e a tutti quelli che mi hanno fatto riflettere sull’argomento.
E che sono a tutti gli effetti, e a loro insaputa, co-autori di queste
righe.