Alessandro Bezzi
Mi ero promesso di non scrivere niente degli equilibrismi
politici di questo PD: non solo perché c’è chi lo ha già fatto molto meglio di
quanto saprei fare io (Wu
Ming su Internazionale, per dirne una), ma soprattutto perché mi pare
inutile, visto il peso e la coerenza politica che il centrosinistra sta
dimostrando di avere. Stuzzicato da qualche amico, però, ho pensato di fissare
alcuni spunti.
Venti anni di antiberlusconismo,
sempre più gridato e sempre meno effettivo, ci hanno portato un governo di
larghe intese con Berlusconi: che le differenze programmatiche fossero poche lo
sospettavamo, come pure sapevamo dell’incapacità a proporre una visione – del Paese, del mondo, del lavoro – diversa. Quello che non potevamo
immaginare era una così netta convergenza di interessi e di pratiche, che
costringe a dare ragione al “Sono tutti
uguali” grillino, dimostratosi tanto becero quanto (purtroppo) veritiero.
Adesso, ironia della sorte, è diventato il Movimento 5 Stelle lo spauracchio
agitato dai democratici per nascondere le proprie debolezze: una narrazione
che, peraltro, fa comodo ad entrambi gli attori, nonostante (e proprio grazie
a) gli isterismi dei rispettivi ultras.
Premesso questo, analizziamo la
situazione odierna partendo dalle ovvietà: Alfano dovrebbe dimettersi, ma è
tutto il governo Letta ad esitare pericolosamente – e quasi quotidianamente –
su ogni questione. Dalle sparate di Calderoli alle interruzioni “chieste” da
Berlusconi, siamo oramai alla farsa: e se il centrodestra è il primo colpevole
di queste ambiguità, il centrosinistra non ha fatto niente per rivendicare la
sua presunta superiorità morale. Mai un impeto di orgoglio, uno strappo, una
polemica: tutto in nome della
“responsabilità” verso un governo irresponsabile.
Un amico mi ha linkato stamani il
suo pezzo
sul caso Alfano, ribadendo le responsabilità del Pd e ricordando come una
parte del partito (capitanata da Renzi) si fosse dissociata. Purtroppo, non mi
è sembrato niente più che un gioco delle parti, con un copione già visto. Ecco
come funziona.
Una parte
della dirigenza contesta puntualmente le allucinanti decisioni prese, fingendo
che ogni dibattito sul futuro del governo (e del Paese) sia riconducibile a una
divisione interna al Pd. Davanti ad una scelta, regolarmente, si prende la
posizione più vicina al PdL (o a qualche gruppo di pressione), salvo poi delegare l'indignazione ad una parte
minoritaria del partito. Ogni conflitto (su Prodi presidente, sugli F35,
sulla sfiducia ad Alfano) viene ricondotto a un regolamento interno: si prende una
posizione che scontenta l'elettorato, giustificandone l'ineluttabilità e
mostrando che non tutti, comunque, la pensano così. In questo modo si contiene
il fermento della base e si dà spazio ad alcuni personalismi (i Renzi, i
Civati, etc) destinati nel lungo periodo a succedere all’eterno establishment
attuale.
Ma è
un gioco che non può durare a lungo: e personalmente,
sono stanco di un partito che non solo adotta posizioni simili, ma non ha neanche il coraggio di assumersene
in toto la responsabilità. E che per mantenersi al potere non si fa
problemi a prenderci palesemente in giro. Basta con le mortificanti scuse
("Ce lo chiede l'Europa", "Dobbiamo sostenere il governo",
etc.) e basta anche con "Non tutto il PD la pensa così", Occupy
Pd", etc. È inutile se poi chi decide continua a prendere posizioni imbarazzanti;
se l’indignazione di oggi domani è già dimenticata; se basta cambiar faccia per
recitare ancora lo stesso copione.
Da qui, una domanda. Quanto i sostenitori Pd possono continuare così, prima
di sentirsi presi in giro? Oppure molti sono già complici - consapevoli - di un
modus agendi che in teoria contestano?