Ilaria Lezzi
Alla luce della decisione del governo cinese
di creare una Zona di Identificazione per la Difesa Aerea con sorveglianza
aerea sulla porzione marittima di sua prossimità, area che include anche
l'arcipelago delle Senkaku/Diaoyu storicamente conteso col Giappone - e che,
aumentando la tensione con Tokyo, tocca direttamente gli Stati Uniti, essendo
questi gli unici garanti della difesa nipponica-, dell'irrisolta divisione
coreana e delle relazioni serrate con Taiwan, la preoccupazione della Cina si
chiama Stati Uniti d'America.
Quella che potrebbe essere, considerato il peso
della Cina nella bilancia internazionale, una chiara sfida per l'egemonia
internazionale, è prima di tutto un regolamento di conti regionale. Gli Stati
Uniti, infatti, sono il competitor principale delle sfide elencate e, in pianta
stabile nella regione dal secondo dopoguerra, hanno annunciato di voler
devolvere ancora il 60% del loro capitale militare aereo e marittimo.
Eppure nell'ultimo incontro con Obama, Xi
Jinping ha espresso la volontà per un nuovo tipo di relazione tra "grandi
potenze", puntando il faro sulla quasi assodata parità sino-americana.
Sembrava che i due leader fossero sulla stessa lunghezza d'onda dal momento che
le stesse intenzione sono state ribadite dal Presidente americano nell' ultimo
G-20 di San Pietroburgo, citanto una "cooperazione pratica e una gestione
costruttiva delle reciproche differenze,
a patto che la Cina mantenga una postura pacifica, prospera e stabile
laddove ci sia un impegno statunitense in corso". Una Cina volenterosa di
stringere nuove profonde alleanze con quella che è ancora la potenza egemone
del globo, è una Cina che si rifiuta di credere allo storico ciclo in cui l'emesione
e la caduta della potenza egemone sia portato inevitabilmente dal confronto
militare e guadare piuttosto al mutuo beneficio e alla cooperazione attiva; gli
ultimi due costituiscono uno dei cinque principi della “coesistenza pacifica”,
pietra miliare della politica estera cinese sin dalla nascita della Repubblica
popolare e riscontrabili, nel pratico, dalla sua emersione internazionale senza
imbracciare un fucile, al punto di indurre la comunità internazionale a parlare
della sua crescita globale solo in termini di soft power. Il punto è che
ora, nella coesistenza pacifica, non si accontenta di essere l'alleato minor
degli Stati Uniti. Chiede una co-responsabilità internazionale, situazione
inedità nel cursus delle relazioni internazionali, manifestatasi solo in fasi
di transizione ( pensiamo ad esempio alla Pax Russico-Britannica di fine
'800 o alla -seppur con toni differenti- fase della coesistenza competitiva tra
Stati Uniti e Unione Sovietica in guerra fredda). Un'ambizione tale scatusisce
dal timore di essere tenuta dalla propria parte e a guinzaglio dagli Stati
Uniti,essendo considerata la potenza ancora acerba, soprattutto nelle spinonose
questioni della minaccia nucleare nord-coreana, i piani nucleari dell'Iran e la
finanza globale che fanno scricchiolare il prestigio americano. Si sa, uno dei
motivi per controllare un competitor è stringerci un'alleanza e questo i
cinesi lo hanno capito. Pechino non si aspetta di essere consultata sulle
scottanti questioni internazionali: si aspetta di avere un ruolo maggiore, se
non preminente, nell'agenda internazionale. Dal canto suo, Washington, rivendica lo status eccezionale,
ancorati al credo che i loro valori siano giusti universalmente e nel loro
perenne desiderio di forgiare il "mondo libero e democratico”. Alcuni
studiosi ci vedono uno strascico della guerra fredda: gli Stati Uniti,
ferocemente accecati dalla competizione ideologica a maggior ragione se l'alter
ego si chiama comunismo, non transigono sulla possibilità di cooperare a
tutto tondo con un'altra potenza, non solo perché questa è emergente ma anche
solo perché è ideologicamente contraria alla loro impostazione di valori. Ed
effettivamente la differenza valoriale e comportamentale c'è tutta: laddove i
cinesi danno priorità al rapido sviluppo e alla protezione dell'ordine interno,
i leader americani vi inviano forze militari per sovvertire. Differenza che si
riscontra nello stesso modo di intendere il sistema internazionale: se gli
Stati Uniti intendono impedire che il riciclo di potenza si concretizzi, i
cinesi vogliono cambiare la stessa impostazione di sistema e, quindi, non
sovvertirlo. Cambiare le regole del gioco. Finché queste regole permarranno –
le mosse americane di accerchiamento regionale stringendo alleanze con i Paesi
vicini della Cina ( Asia Pacific Treaty Organization n.d.r.), esercitazioni militari in acque prossime alla
Cina, aiuti militari a vicini competitors cinesi ( il sostegno al
Vietnam, le storiche relazioni col Giappone, Corea del Sud e Taiwan)-, alla
Cina non rimane altro che giocare con le stesse carte: sotto questa luce, la
già citata Zona di Identificazione per la Difesa Aerea dello scorso novembre non
sarebbe da considerarsi una misura aggressiva, seppur espressione di difesa
preventiva, verso gli Stati Uniti, ma piuttosto semplice reazione alle loro
ingombranti attitudini. Gli Stati Uniti sono infatti ossessionati dagli indici
della spesa militare cinese e dal mantenere un gap di distanza sostenuto,
vedendoci in questo la misura "dello status di potenza".
Aldilà del rispettivo orgoglio, se da un lato
una solida cooperazione potrebbe concretizzarsi sulle regole di
demilitarizzazione e esplorazione dello spazio, la ricerca della stabilità
finanziaria internazionale, la protezione dell'ambiente, l'assistenza
umanitaria, l'adozione di un codice di prevenzione e soluzione degli attacchi
cibernetici, episodi passati rimarcano il solco della profonda differenza che
separa i due giganti, orgoglio a parte. Ad esempio, la Siria ha mostrato che
trattare congiuntamente la repressione delle dittature è strada impensabile. In compenso nulla da
dire sulla condivisa preoccupazione su Chernobyl nel 1986, sulla crisi
finanziaria asiatica del 1997-98, sullo tsunami nel sud-est asiatico del 2008,
sulla crisi finanziaria internazionale del 2008, su Hiroshima nel 2011.
Insomma: laddove non sono in gioco contese valoriali e presunzioni politiche,
la Cina e gli Stati Uniti hanno dimostrato di saper andare d'accordo.
Che valenza ha, allora, parlare di una
cooperazione sino-americana? Esiste forse qualche vincolo internazionale che
forza i due giganti ad allearsi? Però entrambi hanno manifestato e ribadito reciproca volontà a riguardo. Fino
a quando gli Stati Uniti lo vedranno come un modo per contenere la potenza
emergente, la Cina avrà la percezione da essere trattata come una sotto-potenza
da essere tenuta a bada o, ancor di più, come spalla per un sicuro supporto
alle decisioni scomode che gli Stati Uniti si sentono legittimati a prendere
nelle controversie internazionali. Fino a quando la Cina lo vedrà un modo
tenersi allenata ed al corrente delle sfide politiche ed economiche globali,
gli Stati Uniti la percepiranno come un approfittarsi nel bruciare le tappe
verso l'egemonia del mondo. Il mondo intero, allora, si interroga su quale sarà
la data del prossimo scontro tra potenze. A questo punto, se le regole del
gioco internazionale rimarranno queste, non rimane che il risultato più
plausibile. Ma non è compito nostro, comuni umani, fare congetture sul futuro.