Alessandro Bezzi
Premessa: ho studiato Scienze
Politiche e al momento mi occupo di “comunicazione e social media”. Mi viene
quindi abbastanza spontaneo osservare la comunicazione
politica e il ruolo, sempre più decisivo , che i media hanno nell’orientare
preferenze, voti ed opinioni. Oggi proverò a fare un pezzo di analisi,
cercando di mantenermi oggettivo, sul problema
della comunicazione “a sinistra”.
In Italia, i social media influiscono nello spostare i voti?
Ancora, a mio parere, non sono così decisivi come si dice: sia per una
questione anagrafica che per un diffuso analfabetismo digitale: il media per
eccellenza nello spostare il voto resta
la televisione, che però sempre più spesso si allaccia agli umori della
rete per portare avanti dibattiti (e risparmiare un effettivo lavoro di
approfondimento). L’idea che mi sono fatto, discutibilissima, è che i social
contribuiscono più a costruire l’agenda politica che non a spostare i voti.
Berlusconi non ha fatto una buona campagna
sui social, ma le sue apparizioni tv – perfette da un punto di vista
comunicativo – lo hanno risollevato grazie alla presa su un elettorato meno
giovane e/o impegnato ma determinante per vincere.
Renzi e Grillo, i più abili a utilizzare le risorse del web, hanno
riempito piazze sapendo benissimo che le
elezioni - primarie o politiche che siano - si vincono anche con la fisicità.
Pensate a Grillo, che ha letteralmente “esibito il suo corpo” traversando lo
Stretto, o anche solo sgolandosi con la
teatralità di un attore navigato.
L’importanza del web è comunque
incontestabile: e se forse non fa (ancora) vincere le elezioni, è decisivo nel
mettere in contatto diretto la classe politica con i cittadini, favorendo
quella richiesta di trasparenza che
si sta (giustamente) diffondendo a macchia d’olio. E quanto più il politico interagisce tanto
più stabilisce con il cittadino una connessione emotiva: chi confonde
“interazione” con “trasmissione” sposta sul web la comunicazione “a senso
unico” della televisione, ribadendo inconsciamente l’enorme distanza tra politica e società civile.
Nel Pd c’è (anche) un problema di
comunicazione, che credo sia una delle ragioni della non-vittoria elettorale e
del disastroso valzer sulla Presidenza della Repubblica. Nella politica come
nella comunicazione, la forma è sostanza:
ecco quindi alcune cose su cui il Pd dovrebbe riflettere:
1)
Una diffidenza
atavica verso la comunicazione, vista come la vendita di un prodotto o
il tentativo di manipolare le idee del cittadino. Venti anni di berlusconismo,
fatto di irrealizzabili contratti con gli italiani e annunci shock hanno
contribuito a confermare quest’idea. Quello che non si è capito è che si può essere sinceri e ottimi comunicatori
allo stesso tempo;
2)
La difficoltà di identificare un target ampio: la “copertura a sinistra” di SEL ha
fallito, e molti voti “di sinistra” sono andati a Grillo; intanto, con
l’eccezione di Renzi, gli elettori da strappare al centrodestra continuano ad
essere trattati come degli idioti, per quella presunta superiorità morale di
cui parlavamo la volta
scorsa.
3)
La confusione
programmatica e l’autoreferenzialità:
radici di ogni sconfitta del centrosinistra. Se non si ha chiaro il messaggio
da veicolare, nessuna campagna può funzionare. Se il messaggio è “Lo smacchiamo”, un
elettore comune ha tutto il diritto di non capire cosa diavolo tu stia dicendo.
4)
La mancanza
di senso critico: se la comunicazione continua ad essere intesa come
trasmissione, difficile che possano emergere nuove istanze e interazioni. I
comunicatori diventano dei semplici ripetitori, lesti a salutare
con giubilo nuovi premier e segretari per mantenere una posizione di
rendita. Nel frattempo, il partito si chiude in sé stesso, indottrinando i
militanti più ingenui e/o carrieristi e allontanandosi dalle sue forze più
vive.