Pensando alla situazione dei
ragazzi e della ragazze di oggi, abbiamo davanti agli occhi una realtà di masse
di giovani disoccupati, molto spesso di giovani laureati che non riescono a
trovare lavoro. E’ una realtà difficile e preoccupante, figlia di una serie di
cause che andrebbero individuate, analizzate e a cui bisognerebbe porre rimedio
una ad una. Ma per un attimo lasciamo stare le concrete soluzioni che il mondo
della politica e non solo cerca e che non riesce a dare per risolvere una
questione così fondamentale e dirimente. Proviamo un attimo a vedere le cose da
un punto di vista più generale, anche più astratto e ideale se si vuole. In
particolare guardiamo con questo approccio al rapporto e alle connessioni tra
mondo dell’istruzione, della formazione,
dell’università e mondo del lavoro.
Sorvolando sulle motivazioni e sulle cause (e sul ruolo che gioca la crisi
economica in atto), possiamo affermare che oggi noi giovani ci troviamo davanti
ad un mercato del lavoro troppo chiuso, difficilmente accessibile, ostile. Ed è
altrettanto vero che ci troviamo di fronte ad un mondo della formazione
scolastica ed universitaria (tranne qualche eccezione) totalmente aperto ed
accessibile. Ora, il primo punto sembra evidentemente un grosso problema,
mentre il secondo apparentemente non lo è. Ma le cose, io credo, sono un po’
più complicate di così. Laddove in una società si voglia davvero premiare il
merito, un sistema che non solo dia la possibilità a tutti, ma propriotutti, di raggiungere l’obiettivo di un titolo di formazione che possiede un valore legale (non esattamente su basi meritocratiche), ma anche che spinga e quasi “obblighi” tutti a farlo, per poi opporre barriere enormi all’ingresso nel mondo del lavoro (e ancora non su basi meritocratiche) credo non funzioni alla perfezione. Intendo cioè che se si vuole davvero premiare il merito, questo va fatto il prima possibile, a livello di formazione universitaria, con l’opportunità concessa a tutti di provarci, ma con criteri stringenti da rispettare se si vuole ottenere un titolo finale (un numero non chiuso all’inizio da stupidi quiz ma che “si chiude in corsa” in base al rispetto di criteri di merito). Perché se davvero si comincia a premiare il merito in fase di formazione, con un numero molto inferiore di laureati, poi questi (cioè i meritevoli e non i raccomandati, figli di e così via) riusciranno più facilmente ad accedere al mondo del lavoro in quelle posizioni per le quali si sono formati, mentre se un titolo dal valore legale viene rilasciato a chiunque, è più difficile riuscire a collocarsi nel mondo del lavoro, o comunque un’eventuale riuscita non segue esattamente i criteri del merito. Insomma, mi sembra che un sistema con alla base un’istruzione e una formazione universitaria che disconosce criteri meritocratici per un verso (titoli dal medesimo valore legale per tutti) e un mondo del lavoro che fa altrettanto per un altro (si pensi alle degenerazioni di molti ordini, alle caste, al sistema delle raccomandazioni) non funzioni. Migliore sarebbe la previsione di criteri meritocratici più stringenti a livello di formazione universitaria e una spinta liberalizzatrice a livello di mondo del lavoro. Un’ulteriore implicazione legata alla sempre più diffusa mentalità per cui tutti devono fare l’università perché questo serve per collocarsi meglio nel mondo del lavoro è quella di una svalutazione qualitativa dell’università stessa nonché di mille altri canali di formazione professionale che potrebbero e dovrebbero essere valorizzati, potenziati e considerati validissime (talvolta pure migliori) alternative ad una formazione universitaria. Non c’è bisogno che mi dilunghi nell’elenco di tutte le scuole (tecniche, professionali, di specializzazione e così via) da poter frequentare già a livello di istruzione superiore o successivamente, scuole fondamentali cui andrebbe restituito il prestigio che spetta loro soprattutto in un paese come l’Italia e che invece vengono svalutate e soffrono di un ingiusto complesso di inferiorità rispetto ai licei che, si sa, conducono poi all’università. E qui, per finire, me la prendo con una certa cultura egualitaria nel senso omogenizzante del termine, per cui l’affermazione “il liceo, l’università e le professioni con la P maiuscola devono essere accessibili a tutti” non significa come dico io che tutti devono avere le stesse opportunità di partenza e che poi i più meritevoli verranno premiati ma che tutti, e per forza, devono fare il liceo e l’università, prendere il famigerato “pezzo di carta” e raggiungere una posizione di prestigio (con inevitabile delusione e senso di fallimento di chi non ce la fa).
Perché un giorno davvero si possa
dire che il figlio di un falegname e quello di un avvocato hanno le stesse
opportunità di diventare avvocato e che il figlio di un avvocato e quello di un
falegname hanno le stesse opportunità di diventare falegname.
PIGNO