4 aprile 2012

Il diritto d'ingerenza umanitaria: un imperativo categorico per l'Europa?

Esattamente un anno fa, il 19 marzo 2011, cominciava l'intervento militare in Libia, sponsorizzato dalle Nazioni Unite, che avrebbe condotto nel giro di 7 mesi alla fine della guerra civile libica ed alla caduta del dittatore Gheddafi. L'operazione trovava il suo fondamento giuridico nella risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, che ha segnato un ulteriore passo nell'evoluzione del diritto umanitario in generale e soprattutto di un suo ramo, il diritto d'ingerenza umanitaria.

Allora mi trovavo in erasmus ad Aix, e ricordo perfettamente come l'intervento dei Rafale e dei Mirage-2000 de l'Armé de l'air furono salutati positivamente dalla maggioranza dell'opinione pubblica francese, europea ed occidentale. Da me compreso. Oltralpe poi, l'idea atavica e romantica dei popoli solidali che aiutano gli oppressi a detronizzare i tiranni, sembrava avere seguito tra le genti. Forse un
retaggio degli antenati che marciarono al grido di “à la Bastille!”. “E' giusto”, “hanno bisogno del nostro aiuto”, “Gheddafi ha violato i diritti umani”....erano le frasi che si sentiva dire più spesso, che dicevo più spesso. Eppure alcuni acuti osservatori non hanno mancato di sottolineare l'antinomia tra questa guerra giusta e quella in Iraq cominciata nel 2003 da Bush, demonizzata -propriamente- dall'opinione pubblica europea e mondiale ed assurta a dimostrazione
emblematica degli ultimi colpi di coda dell'imperialismo “born in the USA”. E le analogie, tra motivazioni e dittatori in gioco, erano anche assai numerose.

La risoluzione 1973 ha riacceso il dibattito sulla validità del diritto umanitario d'ingerenza. Si tratta di una questione che procede a pari passo con lo sviluppo del diritto umanitario più generale, ma da cui differisce su certi assunti di base fondamentali. Il tema è appassionante, ma non lo tratterò completamente in questa sede, non ne ho i mezzi, e soprattutto c'è una vasta letteratura al riguardo. Com'è stato giustamente notato, “il diritto d'ingerenza umanitaria è una nozione che deve il suo successo mediatico alla sua ambiguità” (F.Bouchet-Saulnier, Dictionnaire pratique du droit humanitaire, La Découverte, Parigi 2006), che comprende concezioni di “soccorso”, “protezione” e “mantenimento della pace” pur non esaurendone totalmente il significato. Però può essere anche letto come il fondamento giuridico per un intervento militare.

Le differenze con altre parti del diritto internazionale pubblico sono assai sfumate. Generalmente per diritto (internazionale) umanitario s'intende l'insieme delle regole volte sia alla protezione dei civili e delle vittime di conflitti armati o guerre, sia alla condotta delle stesse guerre (ius in bello), cioè il diritto bellico. Al giorno d'oggi, i fondamenti sono le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 ed i due Protocolli addizionali del 1977. Il diritto alla guerra, lo ius ad bellum, tratta delle condizioni nelle quali la guerra diventa uno strumento legittimo dell'agire internazionale. Attualmente è assai limitato dal divieto all'uso della forza sancito dallo Statuto ONU, e si basa sul famigerato capitolo VII della suddetta Carta. Esistono poi due concetti simili e fondamentali, il diritto d'accesso ed il diritto d'iniziativa umanitaria, i quali prevedono che in casi di conflitti, organizzazioni umanitarie super partes possano entrare in un paese al fine di proteggere la popolazione civile.  Allora qui sorgono i problemi d'interpretazione delle situazioni, in quanto l'art.2 della Carta delle Nazioni Unite (il testo qui) vieta il principio di ingerenza negli affari interni di un paese. La faccenda è ancora più complicata se la si osserva dalla definizione di conflitto, nella misura in cui possa essere interno, nel linguaggio tecnico, conflitto armato internazionale o conflitto armato non internazionale. E' facile capire quello in cui le potenze straniere sono legittimate ad intervenire, ed infatti l'attacco alla Giamahiria di Gheddafi è stato proceduto, in caso francese e qatarino, dal riconoscimento del Consiglio Nazionale di Transizione come unico legittimo governo della Libia, trasformando una guerra civile-tribale-secessionista in conflitto armato internazionale.

Prima dell'avvento di un corpus scritto di diritto internazionale universalmente riconosciuto, il ricorso all'ingerenza era legittimato da due concetti, i quali sussistono ancora oggi in altre forme: la guerra giusta e le potenze protettrici. Spesso complementari, le guerre giuste venivano giustificate in nome della tutela di alcune minoranze, od interessi. Si potrebbe tracciare un elenco pregnante, a partire da quella porcata che furono le Crociate, passando per le guerre dell'oppio, fino all'intervento indiano nel 1971 in Pakistan orientale per proteggere i bengali discriminati: così è nato il Bangladesh. Le potenze protettrici erano quegli stati che, ricoprendo una posizione di forza se non egemonica in un determinato contesto geopolitico, intervenivano nei paesi vicini per mantenere la stabilità del sistema, quindi i loro interessi.

Resta la definizione di diritto d'ingerenza umanitaria. A mio parere, esso coincide con il dovere degli Stati ad intervenire in situazioni in cui i diritti umani fondamentali vengono sistematicamente calpestati dal governo, o da chi attua l'esercizio politico, in un determinato paese. E' un imperativo categorico nella pura accezione kantiana. Ovviamente si pongono due questioni principali. Per la prima vale la considerazione riguardante l'accettazione universale di determinati standard traccianti i presunti diritti umani fondamentali. Non tutte le società si basano sugli stessi sistemi valoriali, per motivi storici,culturali,politici ed economici. E come c'insegna la Storia, spesso sono interessi contigenti a stabilire la gerarchia di determianati valori. Da qui scaturisce la seconda questione, concernente l'applicazione del suddetto principio. Quando, come, dove? Gheddafi era al potere dal 1969, Saddam Hussein dal 1979, eppure sembra che ci siamo accorti dei loro regimi sanguinari solo dopo decenni (e fiumi di soldi). Perché sarebbe giusto intervenire in Siria e non in Cina, invece di andare sorridenti alle Olimpiadi?

Mi piacerebbe pensare che la comunità internazionale agisca in tale maniera, oppure che un giorno un'Europa più unita possa, grazie alla sua Storia, seguendo tale imperativo categorico, imporsi come potenza civile attiva nella tutela dei diritti delle popolazioni dei paesi che la circondano, e di pressare a livello diplomatico-internazionale anche nei teatri d'azione più disparati e lontani. L'Europa oggi dovrebbe creare un contingente, meglio di come ha fatto in Libia, da mandare in Siria, per pulirsi la coscienza e soprattutto per mandare un segnale forte al mondo, in primis a potenze non democratiche ed egemoniche come Russia e Cina. Non si tratta di trovare scuse come l'esportazione della democrazia, poiché la tutela dei diritti umani fondamentali a volte può trascendere la forma di governo. Non credo alla favola del relativismo culturale assoluto: determinati diritti, certe aspirazioni, sono universali, e sto parlando di due concetti: felicità e libertà. Questi desideri sono comuni, in potenza, a tutto il genere umano.
BARBA