La percezione all'estero del nostro governo non deve essere il motivo principale da addurre per far dimettere Berlusconi |
Silvio Berlusconi non si deve dimettere, o comunque lasciare la carica che ricopre, perchè è incapace di governare un paese allo sbando totale, in piena crisi economica, etica e sociale. Ho sentito dire che si deve dimettere perché la gestione della crisi del debito italiano rischia di affossare l'euro, non rassicura i mercati finanziari internazionali e stronzate del genere. Non scrivo per una patetica reminiscenza di uno spirito nazionalistico poiché il nostro paese, perdendo ogni dignità di stato democraticamente evoluto, è stato commissariato da un'associazione a delinquere internazionale, cioè il Fondo Monetario Internazionale: non m'importa se è diretto da una simpatica signorotta che è uscita dal mio caro
Sciences Po di Aix (e poi lo dirigeva prima del FMI) tra i pochi francesi a sapere l'inglese. L'Europa, non il mondo, non i giornali statunitensi, doveva chiedere al nano malefico di eclissarsi già da tempo. Non perchè il governo italiano è adesso impossibilitato ad agire concretamente per prendere delle misure contro la crisi, ed i mercati rischiano di perdere e quindi quel branco di nullafacenti quali gli speculatori finanziari non possono fare i loro giochetti.
Sciences Po di Aix (e poi lo dirigeva prima del FMI) tra i pochi francesi a sapere l'inglese. L'Europa, non il mondo, non i giornali statunitensi, doveva chiedere al nano malefico di eclissarsi già da tempo. Non perchè il governo italiano è adesso impossibilitato ad agire concretamente per prendere delle misure contro la crisi, ed i mercati rischiano di perdere e quindi quel branco di nullafacenti quali gli speculatori finanziari non possono fare i loro giochetti.
Berlusconi doveva andare via quando ha tentato di chiudere nelle sue grinfie, con il conflitto d'interessi, con le leggi ad personam, l'Italia. Quando incitava a lavorare a nero, quando ha baciato la mano a Gheddaffi e Lukashenko. Quando ha introdotto l'elemento e la retorica dell'odio nella politica italiana. Quando si è trasformato nell'idolo d'oro di un paese che l'ha venerato perchè lui è riuscito in tutto, ha avuto tutto ed allora avrebbe potuto fare tutto. La glorificazione della ὕβρις e la giustificazione della retorica dell'invidia: gli oppositori come invidiosi, sfigati, non come propositori di idee diverse, per una dialettica che è alla base della democrazia.
In Italia si gioca la stessa partita che in Grecia. I paesi che hanno portato la civiltà in Europa, e quindi nel mondo, che hanno inventato i diritti, il diritto e la democrazia finiscono sotto le scure dell'invenzione più abominevole della modernità, la stessa che in fondo anche Berlusconi ha incarnato: l'apoteosi dell'interesse, dell'utilitarismo selvaggio trasformato in speculazione finanziaria.
E' una tragedia di Sofocle od Ennio, musicata da Wagner.
Perché non si ragiona più in termini di bene per un paese, di solidarietà, di umanesimo, l'eredità più bella del mondo classico, l'invenzione più bella dell'Europa.
Come quell'eroe di Papandreou, che ha osato proporre un referendum – l'arma democratica più straordinaria – per fare decidere ai suoi cittadini sul loro futuro, sulle decisione presi da freddi burocrati arroccati nei lori grattacieli. Mentre l'opposizione di centrodestra, rea di aver truccato i conti nel governo precedente ed aver causato la crisi, non lo vuole nemmeno aiutare.
Noi europei ci siamo asservendo a mere logiche utilitaristiche e finanziarie. Perchè se Berlusconi cadrà, se Papandreou lascerà, i mercati potranno aprire in rialzo e noi avremmo un sospiro di sollievo. Ma l'Europa avrà perso la sua battaglia fondamentale, il suo compito che doveva mostrare ad un mondo perverso: avrà abbandonato il suo umanesimo, il suo solidarismo per chinarsi alla tirannia del guadagno facile, della speculazione finanziaria, dell'utilitarismo capitalista selvaggio. Ed allora non avrà più senso, sarà solo una costruzione economica, e come tale, storicamente una menzogna. Sarà allora il tempo per suonare un requiem ad un'idea defunta, ad un sogno perduto.