8 novembre 2014

La Leopolda vista da un non renziano

[(c) corrirerefiorentino.corriere.it]
La curiosità e l'interesse nella politica. Questi due motivi mi hanno spinto sabato scorso a recarmi con il mio motorino alla Leopolda di Firenze. Ex stazione granducale oggi trasformata in centro fieristico e congressuale tra i più importanti della capitale toscana. Per alcuni, negli ultimi anni, è diventato il sancta sanctorum della “terza via” italiana, il renzismo. Il luogo dove, nel 2010, è nata la scalata al Partito Democratico dell'allora sindaco Matteo Renzi. Quest'anno, più che mai, la Leopolda sarebbe stata sotto i riflettori dei media, essendo la prima volta per la kermesse che vede il suo principale ispiratore come Presidente del Consiglio.


Nei giorni antecedenti e successivi all'evento, i sostenitori del premier hanno speso fiumi di parole per tacciare di superficialità i detrattori ed i critici della Leopolda, come l'on. Rosy Bindi. Poichè da fiorentino ho a che fare con certi tipi di estremismi da un po' di tempo, e soprattutto poiché credo fermamente che per dare giudizi bisogna conoscere certe situazioni, prima di formulare il mio pensiero sulla Leopolda, ho deciso di andarci. O meglio, di tornarci. Proprio perchè, per curiosità ed interesse politico, alla Leopolda mi son sempre presentato dalla prima edizione, quella del 2010 con Civati. Prima che personaggi come i ministri Maria Elena Boschi o Marianna Madia brillassero nell'Empireo renziano e turbassero i sogni delle truppe di camicie bianche. Boicottai, per coerenza di voto, solo l'edizione del 2012, in vista delle elezioni primarie di Italia Bene Comune.
Così, semi passati i postumi del venerdì sera e lasciati i pregiudizi nel vano sottosella insieme al casco, sono arrivato all'ingresso della stazione, facendomi strada tra uomini d'affari, carabinieri, signore ingioiellate e moltissimi visitatori, di tutte le età. Mentre nell'aria risuonavano grandi successi attuali sparati a tutto volume. Due cose mi hanno colpito subito: l'assenza, totale, di qualsivoglia riferimento al PD, fossero bandiere, striscioni o volantini. Ma d'altronde, ho pensato, non è una novità della kermesse, e ho varcato il portone. Per poi scopire che una parte del bancone d'accoglienza era riservato allo shop. Con tanto di tazze, penne e magliette. Avvicinandomi a quest'ultime ho avuto un mancamento che ha minato il mio tentativo di essere super partes: in bella vista erano esposte anche delle t-shirt con un segnale di divieto d'ingresso per un gufo, e la scritta: “io non posso entrare”. Nella retorica del Presidente del Consiglio “i gufi” sono i critici del suo operato, del suo story-telling basato su molte promesse e -in 8 mesi esatti di governo- non troppi fatti. I “gufi” erano anche quelli, lavoratori, precari, studenti, che in un milione stavano invadendo Roma in quelle stesse ore per la manifestazione indetta dalla CGIL per protestare contro il Jobs Act. Quelle magliette, esaurite subito come ha sottolineato con piacere il quotidiano non troppo oggettivo Europa, non solo hanno contribuito alla raccolta fondi per la kermesse, ma stridevano tristemente con tutta la retorica ipocrita che è stata portata avanti per rendere il PD un partito “aperto”, “fluido” e “leggero”, ma, de facto, per legittimare l'apertura e lo spostamento al centro ed a destra. Perchè nel PD del neuer Kurs i nemici sono la minoranza della “vecchia” sinistra e gli antichi compagni di battaglie, i sindacati. E per loro, come ammonisce la maglietta, non c'è spazio nelle magnifiche sorti e progressive (non progressiste, eh) dell'Italia. Con buona pace di tutti i proclami all'apertura ed al dialogo che risuonano come un mantra in bocca ai politici e politicanti intervistati.
Entrato nel salone principale, quello del palco, ho cominciato a girellare per i 50 tavoli. I lavori non erano ancora iniziati, ma io ho voluto cogliere varie impressioni tra i presenti. Approccio 3 ragazzi, palesemente giovanissimi, con gli occhi che brillano di eccitazione. Sorrido a pensare a quanto sono fogati. Mi dicono che è la prima volta e che hanno preferito venire alla Leopolda invece che rimanere all'occupazione del loro liceo. E' giusto e bello, penso, avere tale interesse, ma mi si stringe il cuore a realizzare come per questi ragazzi la parola “occupazione” possa rappresentare a priori qualcosa di negativo, quando so con certezza che essa ha rappresentato per molti ragazzi la prima occasione di mettersi in gioco, parlare in pubblico, gestire delle responsabilità, politicizzarsi ed altre esperienze notturne che segnano la crescita e l'adolescenza. Mentre penso a queste cose, sono trascinato da un flusso incontrollabile di persone che agitano tablet e smartphone, e mi ritrovo a pochi metri dal palco, dove il presidente Renzi guida i lavori. Un signore con dei baffi da tricheco compare alle mie spalle e comincia a spingermi, alzando le mani nella speranza di fotografare il premier, riuscendoci dopo svariati tentativi. Guardandomi intorno, sono circondato da persone di ogni tipo che tentano di catturare con un fermo-immagine Matteo, come tutti lo chiamano qua. Mi chiedo se stanno ascoltando quello che dice, nel frattempo.
Io ascolto...per poi decidere di scattare una foto anche io.
Tornando nelle retrovie m'imbatto nel sorridente neo-sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, ex direttore dei canali televisivi di Berlusconi e signore dei reality show italiani. Ma ci sono anche il sindaco di Firenze Nardella, il ministro Madia, il Presidente della Regione Sicilia Crocetta ed una caterva di parlamentari ed europarlamentari, tra cui Alessandra Moretti. Si aggira schiva, tra i tavoli, anche il futuro (mi hanno sussurrato qui alla Leopolda) ministro degli esteri, Marina Sereni. Inseguito e fagocitato dalle telecamere, c'è anche il braccio destro del premier, il sottosegretario Delrio, vero rivoluzionario senza macchia e senza paura: cioè l'unico senza camicia.
Sorrido, e riconosco che la Leopolda è l'unico posto in Italia dove un normale cittadino come me può ritrovarsi a faccia a faccia con la classe dirigente. Ed è eccitante. Perchè se nei primi anni alla Leopolda comparivano soltanto alcuni esponenti, scontenti, del Partito, con l'ascesa politica di Renzi sono arrivati i big e anche grandi nomi del mondo economico. Ma quest'anno, si tratta dei membri del governo. Ed è un'occasione unica.
Dei signori accanto a me, che paiono usciti da The Apprentice, commentano le notizie da Roma sui loro tablet, insultando i manifestanti, mentre dei ragazzi gli fanno eco ripetendo che è “tutta colpa del sindacato se oggi l'Italia e noi giovani siamo messi male”. Io gli faccio notare, acidamente, che il paese è stato portato sull'orlo del baratro, senza una giusta governance economica post ingresso nell'euro, dalle stesse persone con cui Renzi sta facendo le riforme per “cambiare” il paese. Loro mi guardano sbigottiti, mentre io mi dirigo all'ingresso convinto che prima o poi dei Nazgûl verranno a reclamare la mia vita. Recuperato l'elenco tematico dei tavoli da una volontaria sorridente, pondero attentamente a quale tavolo provare a sedermi.
Perchè la Leopolda è anche questo: un esercizio di democrazia partecipativa unico nel suo genere, dove i cittadini possono confrontarsi con gli attori del processo di decision-making, con la speranza, più astratta che reale, di prenderne parte comunque. E' l'altra faccia della medaglia di questo rituale autocelebrativo collettivo, autoproclamatosi moderno e messianico. Perchè, giustamente, la Leopolda non è e non può essere una Festa dell'Unità. E' anche una sfilata, a tratti snob, dei primi della classe, di imprenditori di successo, proprietari di aziende a conduzione familiare o grandi multinazionali. Casi isolati, che rappresentano certo un motivo di orgoglio, ma non rispecchiano in toto un paese dove sempre più PMI chiudono, dove i giovani emigrano o fanno stage non retribuiti ed i servizi pubblici sono sempre più cari e di minor qualità.
Le mie riflessioni sono interrotte bruscamente da un membro dello staff che mi intima con toni isterici di sistemare delle sedie. Quando gli faccio notare che non sono un volontario come il ragazzo accanto a me, neanche si scusa.
I temi dei tavoli sono i più svariati. Ed anche questo aspetto è un fatto naturalmente positivo. Che si parli di diritti digitali, tutela del made in Italy, lotta alla criminalità o Europa, la Leopolda offre un ventaglio ampio e stimolante di possibilità di dibattito. Mi dicono che uno dei tavoli della mattina era diretto da Davide Serra, bestia nera dell'ala sinistra del PD, un finanziere trapiantato a Londra, proprietario di un fondo speculativo nella City che non crea lavoro per gli italiani. Serra, forse con la mente offuscata dal jet lag o dai non ottimi cibi inglesi, si è lasciato sfuggire a commenti provocatori sulla limitazione del diritto di sciopero. Ed infatti, poco prima dell'inizio dei lavori ai tavoli, la deputata Silvia Fregolent, una delle “conduttrici” della kermesse insieme a Renzi, lo smentisce appellandosi alla Costituzione.
Quando cominciano le discussioni ai tavoli, noto con dispiacere che tutti quelli non seduti sono invitati, per ovvi motivi di sicurezza, a lasciare il salone e recarsi a seguire i lavori dai maxischermi nello spazio accanto. E già da due ore comunque non facevano più entrare. Il risultato è che ai tavoli ci sono sì i cittadini comuni come me, ma soprattutto molti addetti ai lavori e esperti dei vari campi. Per interesse personale ed accademico, mi sono seduto al tavolo 42, quello diretto dal ministro Roberta Pinotti e con tema “Difesa e Sicurezza nel quadro della complessità internazionale”. Sono state due ore interessanti, la conversazione ha toccato i temi più disparati, ma attuali, senza scendere troppo nello specifico ma comunque stimolanti, ed il ministro ha risposto a tutte le domande. Alla fine, come negli altri tavoli, è stato redatto un breve report che ha riportato, generalizzando però, gli argomenti trattati, ed è stata consegnato agli organizzatori come input al governo.
Ovviamente, influenzato dallo Zeitgeist leopoldino, ho chiesto di farmi un selfie con il Ministro Pinotti. E l'ho postato su Facebook.
Con queste impressioni, ho lasciato anche quest'anno la Leopolda: a fine lavori rimanevano solo le telecamere ad inseguire il ministro Boschi mentre i giovani volontari si aggiravano, stanchi ma felici, per i tavoli ormai vuoti.
La mattina dopo, le tv riportavano in diretta il discorso finale di Matteo Renzi, e si poteva scorgere un tizio che incitava la folla ad urlare ed applaudire più forte.

(pezzo scritto il 27 ottobre, pubblicato solo ora per problemi tecnici)