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La curiosità e
l'interesse nella politica. Questi due motivi mi hanno spinto sabato
scorso a recarmi con il mio motorino alla Leopolda di Firenze. Ex
stazione granducale oggi trasformata in centro fieristico e
congressuale tra i più importanti della capitale toscana. Per
alcuni, negli ultimi anni, è diventato il sancta sanctorum
della “terza via” italiana, il renzismo. Il luogo dove, nel 2010,
è nata la scalata al Partito Democratico dell'allora sindaco Matteo
Renzi. Quest'anno, più che mai, la Leopolda sarebbe stata sotto i
riflettori dei media, essendo la prima volta per la kermesse che vede
il suo principale ispiratore come Presidente del Consiglio.
Nei giorni antecedenti e
successivi all'evento, i sostenitori del premier hanno speso fiumi di
parole per tacciare di superficialità i detrattori ed i critici
della Leopolda, come l'on. Rosy Bindi. Poichè da fiorentino ho a che
fare con certi tipi di estremismi da un po' di tempo, e soprattutto
poiché credo fermamente che per dare giudizi bisogna conoscere certe
situazioni, prima di formulare il mio pensiero sulla Leopolda, ho
deciso di andarci. O meglio, di tornarci. Proprio perchè, per
curiosità ed interesse politico, alla Leopolda mi son sempre
presentato dalla prima edizione, quella del 2010 con Civati. Prima
che personaggi come i ministri Maria Elena Boschi o Marianna Madia
brillassero nell'Empireo renziano e turbassero i sogni delle truppe
di camicie bianche. Boicottai, per coerenza di voto, solo l'edizione
del 2012, in vista delle elezioni primarie di Italia Bene Comune.
Così, semi passati i
postumi del venerdì sera e lasciati i pregiudizi nel vano sottosella
insieme al casco, sono arrivato all'ingresso della stazione,
facendomi strada tra uomini d'affari, carabinieri, signore
ingioiellate e moltissimi visitatori, di tutte le età. Mentre
nell'aria risuonavano grandi successi attuali sparati a tutto volume.
Due cose mi hanno colpito subito: l'assenza, totale, di qualsivoglia
riferimento al PD, fossero bandiere, striscioni o volantini. Ma
d'altronde, ho pensato, non è una novità della kermesse, e ho
varcato il portone. Per poi scopire che una parte del bancone
d'accoglienza era riservato allo shop. Con tanto di tazze, penne e
magliette. Avvicinandomi a quest'ultime ho avuto un mancamento che ha
minato il mio tentativo di essere super partes:
in bella vista erano esposte anche delle t-shirt con un segnale di
divieto d'ingresso per un gufo, e la scritta: “io non posso
entrare”. Nella retorica del Presidente del Consiglio “i gufi”
sono i critici del suo operato, del suo story-telling
basato su molte promesse e -in 8 mesi esatti di governo- non troppi
fatti. I “gufi” erano anche quelli, lavoratori, precari,
studenti, che in un milione stavano invadendo Roma in quelle stesse
ore per la manifestazione indetta dalla CGIL per protestare contro il
Jobs Act. Quelle magliette, esaurite subito come ha sottolineato con
piacere il quotidiano non troppo oggettivo Europa,
non solo hanno contribuito alla raccolta fondi per la kermesse, ma
stridevano tristemente con tutta la retorica ipocrita che è stata
portata avanti per rendere il PD un partito “aperto”, “fluido”
e “leggero”, ma, de facto,
per legittimare l'apertura e lo spostamento al centro ed a destra.
Perchè nel PD del neuer Kurs i
nemici sono la minoranza della “vecchia” sinistra e gli antichi
compagni di battaglie, i sindacati. E per loro, come ammonisce la
maglietta, non c'è spazio nelle magnifiche sorti e progressive (non progressiste, eh) dell'Italia. Con buona pace di tutti i proclami all'apertura ed al
dialogo che risuonano come un mantra in bocca ai politici e
politicanti intervistati.
Entrato
nel salone principale, quello del palco, ho cominciato a girellare
per i 50 tavoli. I lavori non erano ancora iniziati, ma io ho voluto
cogliere varie impressioni tra i presenti. Approccio 3 ragazzi,
palesemente giovanissimi, con gli occhi che brillano di eccitazione.
Sorrido a pensare a quanto sono fogati. Mi dicono che è la prima
volta e che hanno preferito venire alla Leopolda invece che rimanere
all'occupazione del loro liceo. E' giusto e bello, penso, avere tale
interesse, ma mi si stringe il cuore a realizzare come per questi
ragazzi la parola “occupazione” possa rappresentare a priori
qualcosa di negativo, quando so con certezza che essa ha
rappresentato per molti ragazzi la prima occasione di mettersi in
gioco, parlare in pubblico, gestire delle responsabilità,
politicizzarsi ed altre esperienze notturne che segnano la crescita e
l'adolescenza. Mentre penso a queste cose, sono trascinato da un
flusso incontrollabile di persone che agitano tablet e smartphone, e
mi ritrovo a pochi metri dal palco, dove il presidente Renzi guida i
lavori. Un signore con dei baffi da tricheco compare alle mie spalle
e comincia a spingermi, alzando le mani nella speranza di fotografare
il premier, riuscendoci dopo svariati tentativi. Guardandomi intorno,
sono circondato da persone di ogni tipo che tentano di catturare con
un fermo-immagine Matteo, come tutti lo chiamano qua. Mi chiedo se
stanno ascoltando quello che dice, nel frattempo.
Io
ascolto...per poi decidere di scattare una foto anche io.
Tornando
nelle retrovie m'imbatto nel sorridente neo-sindaco di Bergamo,
Giorgio Gori, ex direttore dei canali televisivi di Berlusconi e
signore dei reality show italiani. Ma ci sono anche il sindaco di
Firenze Nardella, il ministro Madia, il Presidente della Regione
Sicilia Crocetta ed una caterva di parlamentari ed europarlamentari,
tra cui Alessandra Moretti. Si aggira schiva, tra i tavoli, anche il
futuro (mi hanno sussurrato qui alla Leopolda) ministro degli esteri,
Marina Sereni. Inseguito e fagocitato dalle telecamere, c'è anche il
braccio destro del premier, il sottosegretario Delrio, vero
rivoluzionario senza macchia e senza paura: cioè l'unico senza
camicia.
Sorrido,
e riconosco che la Leopolda è l'unico posto in Italia dove un
normale cittadino come me può ritrovarsi a faccia a faccia con la
classe dirigente. Ed è eccitante. Perchè se nei primi anni alla
Leopolda comparivano soltanto alcuni esponenti, scontenti, del
Partito, con l'ascesa politica di Renzi sono arrivati i big e anche
grandi nomi del mondo economico. Ma quest'anno, si tratta dei membri
del governo. Ed è un'occasione unica.
Dei
signori accanto a me, che paiono usciti da The Apprentice,
commentano le notizie da Roma sui loro tablet, insultando i
manifestanti, mentre dei ragazzi gli fanno eco ripetendo che è
“tutta colpa del sindacato se oggi l'Italia e noi giovani siamo
messi male”. Io gli faccio notare, acidamente, che il paese è
stato portato sull'orlo del baratro, senza una giusta governance
economica post ingresso nell'euro, dalle stesse persone con cui Renzi
sta facendo le riforme per “cambiare” il paese. Loro mi guardano
sbigottiti, mentre io mi dirigo all'ingresso convinto che prima o poi
dei Nazgûl verranno a reclamare la mia vita. Recuperato
l'elenco tematico dei tavoli da una volontaria sorridente, pondero
attentamente a quale tavolo provare a sedermi.
Perchè la Leopolda è
anche questo: un esercizio di democrazia partecipativa unico nel suo
genere, dove i cittadini possono confrontarsi con gli attori del
processo di decision-making, con
la speranza, più astratta che reale, di prenderne parte comunque. E'
l'altra faccia della medaglia di questo rituale autocelebrativo
collettivo, autoproclamatosi moderno e messianico. Perchè,
giustamente, la Leopolda non è e non può essere una Festa
dell'Unità. E' anche una sfilata, a tratti snob, dei primi della
classe, di imprenditori di successo, proprietari di aziende a
conduzione familiare o grandi multinazionali. Casi isolati, che
rappresentano certo un motivo di orgoglio, ma non rispecchiano in
toto un paese dove sempre più PMI chiudono, dove i giovani emigrano
o fanno stage non retribuiti ed i servizi pubblici sono sempre più
cari e di minor qualità.
Le
mie riflessioni sono interrotte bruscamente da un membro dello staff
che mi intima con toni isterici di sistemare delle sedie. Quando gli
faccio notare che non sono un volontario come il ragazzo accanto a
me, neanche si scusa.
I
temi dei tavoli sono i più svariati. Ed anche questo aspetto è un
fatto naturalmente positivo. Che si parli di diritti digitali, tutela
del made in Italy, lotta alla criminalità o Europa, la Leopolda
offre un ventaglio ampio e stimolante di possibilità di dibattito.
Mi dicono che uno dei tavoli della mattina era diretto da Davide
Serra, bestia nera dell'ala sinistra del PD, un finanziere
trapiantato a Londra, proprietario di un fondo speculativo nella City
che non crea lavoro per gli italiani. Serra, forse con la mente
offuscata dal jet lag o dai non ottimi cibi inglesi, si è lasciato
sfuggire a commenti provocatori sulla limitazione del diritto di
sciopero. Ed infatti, poco prima dell'inizio dei lavori ai tavoli, la
deputata Silvia Fregolent, una delle “conduttrici” della kermesse
insieme a Renzi, lo smentisce appellandosi alla Costituzione.
Quando
cominciano le discussioni ai tavoli, noto con dispiacere che tutti
quelli non seduti sono invitati, per ovvi motivi di sicurezza, a
lasciare il salone e recarsi a seguire i lavori dai maxischermi nello
spazio accanto. E già da due ore comunque non facevano più entrare.
Il risultato è che ai tavoli ci sono sì i cittadini comuni come me,
ma soprattutto molti addetti ai lavori e esperti dei vari campi. Per
interesse personale ed accademico, mi sono seduto al tavolo 42,
quello diretto dal ministro Roberta Pinotti e con tema “Difesa e
Sicurezza nel quadro della complessità internazionale”. Sono state
due ore interessanti, la conversazione ha toccato i temi più
disparati, ma attuali, senza scendere troppo nello specifico ma
comunque stimolanti, ed il ministro ha risposto a tutte le domande.
Alla fine, come negli altri tavoli, è stato redatto un breve report
che ha riportato, generalizzando però, gli argomenti trattati, ed è
stata consegnato agli organizzatori come input al governo.
Ovviamente,
influenzato dallo Zeitgeist leopoldino,
ho chiesto di farmi un selfie con il Ministro Pinotti. E l'ho postato
su Facebook.
Con
queste impressioni, ho lasciato anche quest'anno la Leopolda: a fine
lavori rimanevano solo le telecamere ad inseguire il ministro Boschi
mentre i giovani volontari si aggiravano, stanchi ma felici, per i
tavoli ormai vuoti.
La
mattina dopo, le tv riportavano in diretta il discorso finale di
Matteo Renzi, e si poteva scorgere un tizio che incitava la folla ad
urlare ed applaudire più forte.
(pezzo scritto il 27 ottobre, pubblicato solo ora per problemi tecnici)